Arte, critica e intelligenza artificiale. Tradurre l’intraducibile
di Raul Gabriel
Il critico è simile al traduttore nella visione Benjamin: produce un evento nuovo che non duplica ma aggiunge significato. La rivoluzione del digitale definisce un nuovo territorio controverso

La contemporaneità, che ci vede involontari attori attivi e passivi, si è obbligata ad affrontare una sfida senza precedenti. La rivoluzione delle intelligenze artificiali, lungi dal rappresentare una svolta puramente operativa, è un terremoto della costruzione linguistico logica su cui abbiamo edificato il mondo conosciuto che non ha precedenti. Definisce un prima e un dopo per tanti versi inconciliabili, stemperando il passaggio in una teoria infinita di implementazioni tecnologico performative.
È tale da ridefinire non solo gli ambiti specifici del produrre testi su questo o quell’argomento più o meno prevedibili e dal contenuto sostanzialmente irrilevante, che ripete unicamente ciò che già è stato detto, ma anche e soprattutto le architetture a monte su cui intessiamo il dettaglio del linguaggio specializzato, le loro relazioni, il loro influenzarsi reciproco, dimensionale e qualitativo.
È da tempo mia opinione, come ho scritto in Il gesto digitale, che la trascrizione digitale dell’analogico abbia aperto le cateratte al fronte esteso di procedure cognitivo-osmotiche profondamente nuove e radicalmente destabilizzanti.
Un universo in cui tutto è scrittura. Se prima dovevo prendere scalpello e martello per fare scultura, pennello e tavolozza per dipingere, violino o pianoforte per suonare e penna per scrivere, oggi posso svolgere tutte queste attività e tante altre senza cambiare mezzo, postazione e ambiente: sono sufficienti tastiera, mouse e dispositivi similari, un pc e uno schermo e, naturalmente, l’attrezzatura software che nelle sue infinite variazioni possiede una natura intima perfettamente omogenea, al di là delle molteplici funzionalità.
La osmosi è innanzitutto strumentale: il passaggio tra un programma e l’altro si serve della stessa materia-vettore, la trascrizione digitale funzionale, attraverso cui l’oggetto digitale prende corpo. Contestualmente riforma completamente il piano stesso delle metodologie di cui gli strumenti si servono come mappa operativa.
Nel caso specifico delle relazioni tra arte, critica e giornalismo la questione è di particolare interesse. Alla luce dei nuovi accadimenti che accorperanno la semantica alla schiera infinita dei meccanismi puramente linguistici, ci si deve chiedere quanto la persistenza di una separazione tra gli ambiti sia ancora sostenibile ed efficace, se non addirittura quale ne sia il senso.
Se nel suo farsi, un qualunque linguaggio specifico al contesto, che diremmo settoriale, tende naturalmente a distinguersi dagli altri, la mutazione del mezzo in chiave IA finirà per rendere il passaggio irrilevante.
Si profila, e in parte si sta già realizzando, una intersezione-ibridazione radicale della parola intesa nel suo più ampio spettro di significato. Esattamente come si può scolpire scrivendo o suonare dipingendo, così si farà critica creando arte, e arte producendo informazione e critica insieme. Non come scelta, politica o concettuale che sia, ma come conseguenza inevitabile della rinnovata configurazione strutturale del linguaggio.
Penso a Walter Benjamin e alla interpretazione del tradurre, espressa in un testo pensato come premessa alla sua traduzione di Baudelaire. Cosa è la critica se non una traduzione-trasduzione del fenomeno oggetto della critica stessa? Altrettanto si può dire del giornalismo e altrettanto si può dire del fatto artistico, in un procedimento reverse il cui ciclo si confonde fino a farne smarrire l’origine.
La traduzione, se è davvero tale, non ha alcun interesse a rappresentare un vettore di somiglianza. È più un evento autonomo che tenta di trasferire il fenomeno filosofico linguistico a cui si riferisce dalla lingua originaria alla lingua ospite. Questo implica una operazione del tutto diversa dalla replica e dalla utopia di una eguaglianza tra le due parti, come normalmente ed erroneamente si intende il compito del traduttore. Si tratta invece di generare un evento linguistico nuovo, che non duplica ma aggiunge ulteriore significato al fenomeno cui si riferisce. Il concetto di lingua totale, una utopia mitica a cui si riferisce Benjamin, non rappresenta l’abolizione delle differenze ma la somma dei significati di ogni singola lingua riuniti nell’unico idioma generale che risolverebbe definitivamente i travagli di Babele. Pane non è uguale a bread e nemmeno a pain o brot. Pane + bread + pain + brot insieme definiscono un nuovo significato più ampio del prodotto lievitato che tutti conosciamo.
Così la critica, per quanto circostanziata e puntualmente riferita, è altro dall’oggetto arte di cui mutua e reinterpreta il concetto filosofico linguistico, è oggetto in sé, e lo stesso possiamo dire dell’approccio giornalistico o di qualunque altra forma letteraria, didascalica, divulgativa.
Il fermento linguistico innescato dal fenomeno delle intelligenze artificiali cancellerà i confini tra arte e traduzioni relative per definire un nuovo territorio condiviso, certamente controverso ma dialogante in un modo del tutto nuovo, estraneo alle barriere utilizzate finora.
Quando ho cominciato a lavorare sul progetto w0rm$ , una serie di video sulla scrittura digitale come fonte di significato al tempo stesso istantaneo, effimero e profondamente significante dentro il puro accadere del digitare su uno schermo, è stato per una reazione alla estetizzazione statica della scrittura che equivale per certi versi alla sclerotizzazione ideologica degli ambiti. Il processo dinamico è un tramite prezioso e ineludibile, capace di rimandare il senso intimo del fenomeno costantemente agente, inarrestabile, lingua come gesto, un gesto totale, imprendibile, in corso d’opera, indefinibile e inesorabilmente concreto.
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