martedì 27 novembre 2018
Il critico cinematografico ripercorre la carriera dell'amico regista appena scomparso: c'è un filo rosso.
La stella di Bertolucci a Hollywood (Ansa)

La stella di Bertolucci a Hollywood (Ansa)

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«Ho sempre intravisto nel mio amico Bernardo l’irrequietudine di un uomo che si sentiva un privilegiato che proveniva dalla “Parma bene”. E che in fondo, nonostante i premi e gli attestati unanimi del mondo del cinema, ha percepito tutta la sua produzione artistica come qualcosa di imperfetto, di incompiuto, “irrisolto”. E la sua vita è molto simile a quell’immagine del “fico sterile” del Vangelo di Luca rispetto ai doni e talenti ricevuti...».

È il primo ricordo che affiora dalla mente del critico cinematografico de “La Civiltà Cattolica” il gesuita mantovano, classe 1937, Virgilio Fantuzzi. Un’amicizia quella di padre Fantuzzi – “l’ultimo gesuita del cinema” (dopo la scomparsa di grandi confratelli come Angelo Arpa e Nazareno Taddei) – nata più di 50 anni fa «era l’estate del 1966» quando sul set di Pier Paolo Pasolini «mentre ero assistente volontario durante la post- produzione del film Edipo Re conobbi per la prima volta Bertolucci alto e con una incredibile massa di capelli in testa...». Un incontro folgorante per l’allora giovane e non ancora sacerdote Fantuzzi. «Fece vedere in “anteprima” a me e a Pier Paolo lo spezzone “la copia di lavorazione” di un episodio del film collettivo Amore e rabbia dal titolo Agonia in cui viene narrata la storia di un vecchio vescovo agonizzante che ha una visione e si rende conto poco prima di morire di aver trascorso infruttuosamente la propria esistenza». E annota: «L’episodio, costituito prevalentemente da una lunga sequenza onirica, s’ispira alla parabola del fico sterile....».

Una proiezione quella di più di 50 anni fa che – a giudizio del critico cinematografico che ebbe, tra l’altro il privilegio di intervistare il grande cineasta emiliano una dei «suoi ultimi lunghi colloqui sul cinema..,» sulla rivista Nuovi Argomenti nel 2004 – «rappresentò per me una provocazione, un’esperienza “filmofanica” anche sul mio essere sacerdote e su come vivevo i miei talenti rispetto ai doni ricevuti da Dio...Un colpo basso alla mia stessa spiritualità che credevo allora perfetta e priva di difetti».

Da quella pellicola andata in sala nel lontano 1969 vi è – agli occhi di Fantuzzi – tutto il filo rosso «narrativo» di tutta la filmografia di Bertolucci da Novecento a Io ballo da sola, L’ultimo imperatore fino a Strategia del Ragno. «Penso che da quell’incipit artistico di tipo sperimentale di Bernardo in Agonia ci sia un punto di contatto con il resto di tutta la successiva produzione artistica e più popolare. In fondo il senso del rimorso e dell’incompiuto rispetto al “redde rationem” rispetto ai doni ricevuti dalla natura e dall’ingegno è uno dei tratti più significativi di tutta la sua filmografia».

Un’amicizia quella tra Fantuzzi e Bertolucci confermata anche da un dato singolare. «Lui e suo fratello Giuseppe, pur essendo agnostici, per rispetto alla volontà dei genitori il grande poeta Attilio e la madre Ninetta Giovanardi hanno voluto che io presiedessi per entrambi i funerali. Un gesto mi dissero “per rispettare il retroterra cattolico dei nostri genitori...”». Padre Fantuzzi rievoca della lunga frequentazione con il cineasta emiliano un’ultima istantanea. «Quando vidi per la prima volta a Parigi Ultimo Tango a Parigi scrissi subito una lettera al mio amico e gli manifestai questa confidenza: “Ho visto nella narrazione di questo film: la tua vita il tuo sentirti imperfetto e pieno di inadempienze, il tuo sentirti miserabile”. Per me quel film confidai ancora al mio amico rappresentò come essere sulla grata del confessionale avendo come penitente Bernardo. Ridendo dissi a me stesso: “Perché partecipano a questo incontro così privato tante altre persone?” E anche di questa mia divertita impressione ne feci partecipe il mio amico Bertolucci».

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