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foto Sir/Marco Calvarese
Sono sempre di più in numeri assoluti e in rapporto alle consorelle più giovani, sopravvivono più a lungo, come avviene per la popolazione generale. Nostre sorelle che non possono vivere se non sono accompagnate con tenerezza umana e attenzione professionale. Non possiamo dimenticare chi ha dedicato decenni alle comunità, lavorando negli asili, nelle scuole, negli ospedali, nelle case di riposo, nelle parrocchie, nelle missioni. La nostra cura per loro deve essere sensibile e delicata, pensando sia alle suore che, sebbene anziane, possono ancora vivere nelle loro comunità, sia alle molte altre che, invece, vivono nelle infermerie che le congregazioni organizzano per meglio strutturare le attività assistenziali.
Pensando a loro, talvolta facciamo l’errore di ritenere che l’amore per il Signore sia in grado di impedire il dolore fisico e quello della mente di chi vive in un’infermeria, dove riceve supporti adeguati che però certamente non possono compensare una giornata senza stimoli, circondate da consorelle ciascuna portatrice della propria sofferenza, condizione che non sempre facilita i rapporti. La preghiera aiuta ad affrontare le fatiche della vita, ma sarebbe un grave peccato se le comunità ritenessero che il pensiero rivolto al Signore da solo cancella le difficoltà che si accompagnano al vivere in età molto avanzate, spesso in condizione di malattia. Il Signore ha bisogno della nostra disponibilità e competenza.
È doveroso richiamare l’attenzione, in mezzo ai molti problemi di questo tempo difficile, verso le suore che per le loro condizioni di salute non possono più godere dei legami che per molti anni hanno dato significato e senso alla loro vita. Dobbiamo pensare alla nostalgia che possono provare per i lunghi anni in cui il lavoro generoso tra la gente era motivo di soddisfazione e di senso. Dobbiamo pensare alla nostalgia che le suore ricoverate in un’infermeria provano per il tempo della salute, quando si sentivano felicemente partecipi della vita comunitaria. Adesso nella loro vita domina la solitudine; solo i santi sanno superare il dolore provocato da questa cattiva compagna, pensando al Signore e vivendo la sua presenza come lenimento di qualsiasi solitudine. Noi, invece, siamo donne e uomini fragili, che hanno bisogno della vicinanza degli altri.
Dobbiamo anche pensare alle esigenze concrete di cura delle suore anziane fragili. Hanno bisogno di competenza tecnica e di vicinanza umana, come dovrebbe avvenire anche nelle strutture laiche (le Rsa). Hanno diritto alla stessa qualità delle cure, a essere assistite da personale motivato e qualificato, in grado di cogliere i silenzi di un cuore e di una mente che soffrono, dedicando le attenzioni che sole possono raggiungere il luogo del dolore. In questa prospettiva è necessario predisporre occasioni specifiche di formazione per il personale che lavora, con funzioni di coordinamento e di assistenza diretta, nelle infermerie che ospitano le suore ammalate. Recentemente, l’Usmi (Unione superiore maggiori d’Italia) della sezione di Brescia ha organizzato un corso, adeguatamente articolato per dare agli operatori religiosi le informazioni necessarie ad affrontare situazioni delicate. Si pensi, ad esempio, alle suore affette da demenza: sono in grado di percepire la vicinanza di chi le assiste, la gentilezza, la generosità, il tentativo silenzioso di superare la nebbia apparente che coinvolge l’ammalata.
La preghiera nelle sue forme tradizionali, vissuta attraverso la memoria che resta, è motivo di serenità; anche i canti possono avere uno spazio importante in questa prospettiva. Nulla sappiamo di una mente apparentemente silente, ma gli studi più attenti ci indicano che i ricordi intensi del passato sono ancora presenti, seppure inconsciamente. Perché non possiamo sperare che le sorelle che hanno avuto ruoli delicati ed efficienti nelle nostre comunità possano ancora vivere affetti e vicinanze? Dopo tanti anni di disponibilità generosa, le suore anziane hanno il diritto a una “vita buona”, anche quando hanno perso l’autosufficienza e sono malate. E noi abbiamo sempre il dovere di rendere concreta questa condizione.
*Psicogeriatra