mercoledì 21 febbraio 2024
La stessa proposta dei radicali depositata o già discussa in 15 Regioni. Veneto e Friuli l'hanno già bocciata, in Lombardia parte l'iter, in Emilia-Romagna dem divisi, Lega tra favorevoli e contrari
Palazzo Lombardia, sede amministrativa della Regione a Milano

Palazzo Lombardia, sede amministrativa della Regione a Milano - Ansa

COMMENTA E CONDIVIDI

Il progetto di legge regionale sul suicidio assistito fa un altro passetto in avanti. Il presidente del Consiglio regionale Federico Romani ha assegnato il testo alle Commissione Affari istituzionali e Sanità, che lo esamineranno in seduta congiunta e si esprimeranno insieme se inviarlo o meno al voto dell’aula. Una scelta che, regole alla mano, va presa entro nove mesi. Il progetto è lo stesso che è stato presentato in numerosi consigli regionali in tutta Italia (ieri la presentazione in Regione Lazio, mentre in Liguria la discussione è iniziata lunedì in Commissione Salute): il testo è quello di iniziativa popolare promosso dai radicali dell’Associazione Luca Coscioni, impegnati da tempo nella campagna nazionale “Liberi fino alla fine” che ha come obiettivo dichiarato la legalizzazione dell’eutanasia.

Le 8mila firme necessarie per consegnare la bozza di legge alla Regione vincolandola a esaminarla sono state raccolte dagli stessi radicali, che hanno poi trovato un sostegno politico nelle forze di centrosinistra, sebbene non compatte: come già accaduto in altre regioni, infatti, nel Pd si registrano riserve e contrarietà su un sistema di regole che presenta diversi problemi, etici, medici e giuridici. Il caso di Anna Maria Bigon, la consigliera regionale veneta del Pd che con la sua astensione in aula ha contribuito ad affondare la stessa legge ora all’esame della Regione Lombardia, conferma che il nodo del fine vita mal sopporta la disciplina di partito. La conferma è ancora nel caso del Veneto, dove la proposta è stata sostenuta dal governatore leghista Luca Zaia, mentre in Emilia Romagna alcuni consiglieri dem si sono schierati contro. E nella stessa Liguria il governatore Toti, alla guida di una giunta di centro-destra, si è detto a favore di una regolamentazione.

Intanto l’iter della proposta segue il suo corso, secondo copione con l’assegnazione del testo alle Commissioni presiedute rispettivamente dal consigliere Matteo Forte (Fdi, Affari istituzionali) e Patrizia Baffi (FdI, Sanità). Il fatto che la Lombardia segua a ruota altre Regioni che già si sono confrontate con la questione, o che lo stanno facendo, mette nelle condizioni di poter beneficiare di quanto è emerso altrove su una materia quantomai complessa. A cominciare dal parere che l’Avvocatura dello Stato ha reso sulla prospettiva di avere una legge sul fine vita per ogni regione, affermando a chiare lettere che sarebbe una soluzione incostituzionale considerato che la vita dei cittadini è materia di riserva assoluta dello Stato e che non è immaginabile un “federalismo del fine vita”. La stessa strada scelta dall’Emilia Romagna, che ha adottato semplici istruzioni tecniche senza legge, se estesa a tutte le Regioni finirebbe per declassare un tema di questa portata al livello di disciplina amministrativa, come una procedura qualunque, peraltro rinnovando l’ipotesi di venti regolamenti diversi sulle procedure di morte volontaria.
Sul terreno ci sono anche altre due ipotesi: rimandare tutto a una legge nazionale, oppure lasciare che a regolamentare i casi di richiesta di morte volontaria anticipata sia la sentenza 242 con la quale la Corte costituzionale definì nel 2019 una ristrettissima e condizionata area di non punibilità per chi aiuta una persona che lo chiede a uccidersi. I giudici chiarirono che non si creava alcun “diritto di morire”, fissando anche il pre-requisito delle cure palliative (quasi sempre risolutive) per l’eventuale accesso al suicidio assistito. La strada è ancora lunga, ma le carte sono già tutte in tavola.

La proposta di legge – sempre la stessa – è stata portata avanti in 15 Regioni, in sette delle quali gli organismi rappresentativi hanno deciso di avviarne l’esame. Due Regioni hanno già bocciato la legge (Veneto e Friuli venezia Giulia), in altre quattro (Piemonte, Emilia Romagna, Abruzzo, Toscana e Lombardia). Otto Regioni hanno visto il deposito della legge per iniziativa di consiglieri regionali o Comuni: sono Sardegna, Basilicata, Lazio, Liguria, Val d’Aosta, Puglia, Marche e Calabria.

Nel Lazio (a guida centrosinistra) la proposta era stata depositata nel novembre 2023 da consiglieri di Verdi-Sinistra e Italia Viva e sottoscritta anche da consiglieri dell’opposizione. I sostenitori della proposta hanno organizzato una conferenza stampa nella sede regionale per chiedere che la discussione in consiglio regionale venga calendarizzata. In Liguria la discussione è partita il 19 febbraio in Commissione Salute, presieduta dal leghista Brunello Brunetto, che si è detto favorevole. «L'iter sarà lungo, attento e complesso – ha spiegato –. Ascolteremo costituzionalisti, comitato etico, Ordine dei medici, professioni mediche, infermieristiche, tutti i coinvolti nelle procedure di questa materia. Ci vorranno mesi». In Piemonte l’iter in Commissione Sanità è iniziato il 21 febbraio, con la contrarietà già nota del presidente del Consiglio regionale Stefano Allasia, leghista.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI