venerdì 14 settembre 2012
​Via libera del Parlamento europeo ieri alla direttiva comunitaria che intende tutelare i cittadini da qualunque crimine basato su discriminazioni razziali, religiose, sociali e politiche, ma anche «di genere»: un concetto ormai tanto ambiguo da giustificare qualsiasi uso strumentale. Tre anni di tempo agli Stati per adeguarsi.
Una lunga sequenza di risoluzioni a tema
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Lo scopo, del tutto nobile, è quello di garantire i diritti più elementari alle vittime di crimini nell’Unione europea. Una delle Commissioni che si è occupata di elaborarne il testo – quella sulle libertà civili, la giustizia e gli affari interni – sembra sinonimo di garanzia. Molti dei temi trattati appaiono del tutto condivisibili: rispetto e tutela di ogni persona di qualsivoglia estrazione razziale, sociale, religiosa e qualunque sia il suo l’orientamento politico, l’età o la condizione fisica. Ma notando che alla stesura delle bozze e ai meeting preparatori ha partecipato anche la Commissione per l’uguaglianza di gender, e che la stessa ormai parola "gender", ormai assai equivoca, appare numerose volte, qualche interrogativo affiora sulla direttiva del Parlamento europeo che ha avuto il via libera ieri con l’approvazione di una risoluzione legislativa in seduta plenaria. Dubbi su possibili ambiguità nell’interpretazione di alcune indicazioni vengono rafforzati dalle reazioni di associazioni che si spendono per la causa della comunità Lgbt (lesbiche, gay, bisessuali e trans gender). Come l’intergruppo per i Diritti delle persone Lgbt, che raccoglie 132 membri del Parlamento europeo: nel comunicato che manifesta soddisfazione per il buon esito del passaggio parlamentare, si ricorda che «l’identità di genere (il «gender», ndr) è intesa come il sentire profondamente interno e l’esperienza individuale del genere, che può o non può corrispondere con il sesso assegnato alla nascita». Dello stesso tenore le dichiarazioni dell’Ilga, un’associazione internazionale che accoglie le istanze del mondo omosessuale, che per bocca della direttrice Gabi Calleja parla di un passo «importante e necessario». Le fa eco Martin K.I. Christensen, anch’egli direttore dell’Ilga, affermando che finalmente si decide di punire i crimini dettati da «omofobia e transfobia».Nel testo approvato con 611 voti a favore giunti da ogni schieramento – una delle due relatrici è del Ppe, l’altra dei liberaldemocratici dell’Alde – a più riprese si fa menzione della violenza basata su considerazioni di genere e si invitano gli Stati membri ad adottare leggi che recepiscano le indicazioni del Parlamento europeo entro tre anni. Il documento afferma anche la necessità di evitare discriminazioni per tutti coloro che vengono riconosciuti vittime di crimini, non specificando quali siano le circostanze in cui è lecito parlare di discriminazione. Un’ambiguità che ormai spesso caratterizza le decisioni di Strasburgo, e che si presta a molteplici interpretazioni.Pur contenendo inviti espliciti ad adeguare le leggi, il testo licenziato non ha carattere vincolante. Inoltre, quanto approvato dalla seduta plenaria del Parlamento europeo dovrà passare l’esame del Consiglio dell’Unione europea, l’organo che riunisce i ministri degli Stati membri competenti per un determinato ambito. Non è la prima volta che il Parlamento europeo adotta misure volte a definire i diritti degli omosessuali contenute in documenti che a prima vista non riguardano tali argomenti. A marzo scorso, ad esempio, fu approvata una risoluzione che intendeva promuovere il riconoscimento delle coppie omosessuali proponendo l’aggiornamento della definizione di famiglia quale unione tra uomo e donna. Anche allora il testo votato si faceva portatore di istanze in gran parte condivisibili, riguardando la «parità tra donne e uomini nell’Unione europea». Al fine di annullare ogni differenza di trattamento tra coppie eterosessuali e coppie omosessuali, la risoluzione avanzava proposte esplicite per il riconoscimento reciproco delle unioni civili e delle famiglie omosessuali tra i Paesi dell’Unione.
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