I finanziamenti all'Ucraina: i dubbi europei e la posizione dell'Italia

di Giovanni Maria Del Re e Eugenio Fatigante, Bruxelles
Il Consiglio Europeo ancora diviso sulla questione dei beni russi congelati (principalmente in Belgio). Il doppio no di Giorgia Meloni, che punta su un "piano B""
December 18, 2025
I finanziamenti all'Ucraina: i dubbi europei e la posizione dell'Italia
Un momento della discussione tra i leader europei a Bruxelles / ANSA
«Abbiamo una semplice scelta: o soldi oggi, o sangue domani. E non parlo dell’Ucraina, ma dell’Europa». Il premier polacco Donald Tusk la mette così per indicare la posta in gioco di questo Consiglio Europeo, considerato uno dei più “esistenziali” per l’Ue degli ultimi anni. La questione del finanziamento europeo dell’Ucraina era oggi la questione cruciale che ha tenuto impegnati i 27 leader ma soprattutto gli sherpa e i tecnici della Commissione Europea. Obiettivo: trovare la quadra sull’utilizzo dei beni russi congelati in Europa per un “prestito di riparazione”. Un accordo che, oltre a dare a Kiev i mezzi per continuare a difendersi, darebbe un segnale di forza dell’Europa e sarebbe un durissimo messaggio a Mosca. Una discussione tra le più difficili in anni di vertici europei, durata fino a notte fonda, con gli occhi puntati sul premier belga Bart De Wever, arrivato al summit all’insegna del «no». Un no di peso, visto che, dei 210 miliardi di euro russi congelati nell’Ue, 185 sono nella società belga Euroclear.
Certo, oggi tra i leader (a parte l’Ungheria) era diffusa la convinzione che una decisione sul finanziamento dell’Ucraina era assolutamente indispensabile. «L’alternativa – affermava lo stesso De Wever – sarebbe il fallimento geopolitico definitivo dell’Europa, di cui sentiremmo l’effetto nei decenni a venire». A marzo Kiev avrà finito i soldi, e, in totale, nel biennio 2026-27, secondo il Fondo monetario, le servono 135,7 miliardi di euro. Il prestito Ue in discussione è di due terzi, 90 miliardi di euro (il resto dagli altri partner G7). Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, di persona al vertice, ha avvertito che sarà «un grande problema» se i soldi non ci saranno. «Non lasceremo questo Consiglio senza una decisione finale», assicurava il presidente del Consiglio Europeo Antonio Costa.
Il Belgio, comprensibilmente, non vuole trovarsi a fronteggiare da solo contenziosi con il rischio di ripagare una somma gigantesca. «Abbiamo bisogno di un paracadute prima di lanciarci – ha detto De Wever al Parlamento belga prima del vertice -, se ci viene chiesto di lanciarci, ci lanciamo tutti insieme». Solo che «non ho mai visto un testo che mi piacesse e che garantisse l'accordo del Belgio». Il meccanismo messo in piedi dalla Commissione prevede che Euroclear presti 90 miliardi all’Ue, prelevandoli dai circa 165 miliardi di euro di contante maturato dai titoli russi. L’Unione poi li girerà a Kiev. L’Ucraina dovrà restituirli, ma solo quando la Russia avrà ripagato i danni di guerra. Mosca mantiene la proprietà giuridica dei fondi. Gli altri Stati membri forniscono garanzie (che non incidono sul debito pubblico) a copertura dei rischi. Inoltre, Euroclear potrebbe utilizzare il contante non utilizzato per eventuali rimborsi. Mosca ha già intentato causa a Euroclear di fronte a un tribunale russo, che però non viene riconosciuto dall’Ue. Intanto il cancelliere Friedrich Merz ha annunciato che farà sì che siano utilizzati in modo analogo i beni russi congelati in Germania.
Fino a notte sherpa e tecnici hanno cercato soluzioni per convincere il premier di Bruxelles, anche con incontri a tre tra Germania, Commissione e Belgio. De Wever però ha continuato a pretendere garanzie senza un tetto né di somma né di tempo, inaccettabili per gli altri. E ha insistito per esplorare «altre opzioni», cioè emissione di debito comune che però richiede l’unanimità. Il prestito di riparazione invece può passare a maggioranza qualificata. Altra ipotesi, prestiti bilaterali che però gravano sul debito degli Stati. Soprattutto la Germania non vede alternative al “prestito di riparazione”, che invoca pure Zelensky: «L’Ucraina – ha detto - vi ha diritto perché la Russia ci distrugge, ci colpisce ogni giorno». In tarda serata il prestito di riparazione appariva l’unica opzione rimasta sul tavolo, e si lavorava su un testo di conclusioni in cui si affermava che l’opzione era questa, ma che poi a livello tecnico si sarebbe dovuta risolvere le questioni aperte. Il Belgio restava però da convincere.
La posizione dell'Italia: il "doppio no" di Giorgia Meloni
Giorgia Meloni indossa i panni della “signora no” in Europa e condiziona anche lei questo vertice dei leader europei. Resta nel cassetto la soluzione per i beni russi “congelati”, sui quali l’Italia non vorrebbe essere chiamata a contribuire con garanzie «costosissime» né vuole correre rischi legali e soprattutto contabili ai fini del debito pubblico. E non se ne parla nemmeno per l’intesa fra l’Ue e il Mercosur. Si afferma così anche la linea del Governo italiano, prudentemente attestato nel fortino delle opposizioni sui temi discussi. Scartata la via di un prestito per l’Ucraina basato su debito comune fra gli Stati Ue, Palazzo Chigi saluta con un certo favore il protrarsi degli approfondimenti sugli asset. Fonti italiane a sera accreditano la possibilità di un “piano B” non basato sui 210 miliardi di beni di Mosca bloccati in Europa, o almeno su un mix, ma questo non trova riscontri nelle altre delegazioni.
Il giorno dei «no» della premier italiana (alle prese in patria pure col nodo del decreto armi da chiudere entro fine anno) era iniziato con un altro diniego, quello sul Mercosur. Già reso noto nei giorni scorsi e rafforzato in un colloquio mattutino col presidente francese Emmanuel Macron (contatti c’erano stati già domenica scorsa), oltre che dalla vista delle “truppe” di agricoltori giunte sino nella capitale belga per protestare, anche sulla nuova Pac. Una posizione che la presidente del Consiglio ha ribadito pure nei contatti avuti col presidente brasiliano: «Ho chiamato il primo ministro Meloni - ha affermato Lula ai media brasiliani -. Con grande sorpresa, ho scoperto che anche l’Italia, oltre la Francia, non intende firmare. Mi ha detto che se abbiamo pazienza per una settimana, dieci giorni, un mese, l'Italia sarà pronta per un accordo». Sono parole che Palazzo Chigi commenta e declina, in una nota, asserendo che «il Governo italiano è pronto a sottoscrivere l’intesa non appena verranno fornite le risposte necessarie agli agricoltori, che dipendono dalle decisioni della Commissione Europea e possono essere definite in tempi brevi».
La lunga giornata della premier era cominciata peraltro con l’ormai consueta riunione a 15 (oltre alla stessa Commissione Europea) presieduta assieme ai primi ministri danese, Mette Frederiksen, e olandese, Dick Schoof. Meloni si è soffermata sui progressi, definiti «sostanziali» , registrati sul Regolamento per i rimpatri e sulla lista europea di Paesi di origine sicuri. E tutti i leader hanno concordato sull’esigenza di pensare a «soluzioni innovative».

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