giovedì 13 maggio 2021
Quarant’anni fa una sconfitta che diede avvio a una grande esperienza di servizio alla vita. Nelle voci dei protagonisti di allora la coscienza di doversi prodigare subito per accogliere la maternità
Referendum sull'aborto, 17 maggio 1981

Referendum sull'aborto, 17 maggio 1981 - Ansa

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Triste maggio quel maggio del 1981. Triste quel 32%. Eppure mai, forse, tanto di positivo nacque da una sconfitta. E nessuno si sentì mai davvero 'sconfitto'. Per tutti quel 32% fu un inizio: un punto non d’arrivo ma di partenza, e per un viaggio tuttora in corso. Parlare con chi allora c’era, si impegnò e oggi volge lo sguardo all’indietro, non fa emergere né malinconie né rancori. Eppure erano tutti molto giovani, alcuni poco più che ragazzini, in teoria inclini ai facili entusiasmi e agli altrettanto rapidi scoraggiamenti. Invece... Si può partire da Roma, anno 1978, in faccia a quel Senato dove la legge 194 è in dirittura d’arrivo. Tra gli improvvisati, giovanissimi manifestanti («E chi l’aveva mai fatta una manifestazione?») c’è anche Olimpia Tarzia, che sarebbe stata tra i fondatori – e segretaria generale per sette anni – del Movimento per la Vita (MpV). «Me lo ricordo come se fosse ieri. Chi eravamo? Ragazzi delle parrocchie, qualcuno di Cl, altri di Sant’Egidio, con i cartelli dipinti a mano e le chitarre». A Roma c’era pure Marina Monacchi (anche lei futura segretaria nazionale MpV), che all’impegno per la vita era approdata al Liceo Tacito, grazie al suo prof di religione, il pallottino padre Giuseppe Leonardi, alla Comunità quinta dimensione e a un ciclo d’incontri su «Missione uomo: un impegno per la vita» con professori della Cattolica... Era il 1977, diciamo che Marina prese la rincorsa lunga. È passato tanto tempo, ma paradossalmente i motivi fondamentali dell’impegno di allora sono più che mai validi adesso: «Impegno concreto per la maternità e la vita nascente, e sensibilizzazione culturale».

A Firenze, patria di Carlo Casini, c’era Marco Carraresi, insegnante di religione, futuro consigliere regionale toscano, allora impegnato nella sua parrocchia del Preziosissimo Sangue, «quasi ventimila anime, Messe a ogni ora per tutta la domenica mattina, e noi a volantinare senza sosta. Di notte invece a fare attacchinaggio, lo confesso, coprendo i manifesti della parte avversa. Una notte stavamo per buscarle dagli extraparlamentari, ci salvarono i compagni comunisti ». Carraresi lo ammette, «pensavamo di vincere, e al momento restammo delusi. Ma riflettendoci oggi, quel 32% fu un mezzo miracolo e un’ottima base per ripartire». «Un po’ stupita» dal risultato ammette di esserlo stata anche Bruna Rigoni, colonna del Centro di aiuto alla Vita (Cav) di Bassano del Grappa (Vicenza), fondato nel 1979, che ha una sua teoria sul referendum: «Molti hanno sbagliato a votare, facendo confusione tra 'sì' e 'no'. Accadde anche in alcuni istituti religiosi. La preparazione al voto non fu adeguata». Ma subito ci si rimise al lavoro, «per salvare vite e fare cultura della vita. Il 29 giugno 1981 a Bassano arriva Carlo Casini e trova un teatro strapieno».

Se qualcosa accomuna i 'reduci' dell’81 è che l’eventuale scoraggiamento, se ci fu, durò appena un istante. Cominciano infatti a fiorire i Cav, come racconta Paolo Picco, tecnologo con laurea in fisica di mestiere, impegnato per la promozione della vita per passione, collaboratore di Casini nel MpV, presidente per 19 anni del Cav di Monza, a lungo a capo della Federazione regionale lombarda: «Dei circa 350 Cav italiani, ben 57 sono in Lombardia» ricorda con legittimo orgoglio. E quel 32%? «Numericamente insufficiente, certo. Eppure fu il segnale di una positiva sensibilità diffusa, che ho visto confermata, ieri e oggi, nei Cav». Picco sottolinea «la passione di tanti per il valore della maternità. L’aborto non è tanto un male minore, quanto un profondo dolore da evitare a ogni costo». I Cav, ricorda, sono fatti soprattutto di «donne che incontrano altre donne, un punto di incontro e di amicizia, strutture operative e non teoriche. Ai Cav arrivano donne con il certificato per abortire già in tasca. Se otto su dieci scelgono di non abortire è perché trovano motivazioni e aiuti concreti. E allora queste donne diventano fortissime ». Idealmente, Olimpia Tarzia conferma: «Non si salva una vita ingaggiando una sfida con la madre», ma accogliendola.

Lavoro concreto, dunque. Marina Monacchi fornisce numeri che inducono a pensare sui frutti del dopo-1981: «Il Segretariato sociale per la vita di Roma ha salvato quasi 4.000 bambini in 40 anni. Potenziali vittime, le prime, dell’aborto. La seconda vittima è la madre e non sempre è lei a scegliere, come sappiamo dalle tante donne che poi vengono a confidarsi». Insiste più volte: «Lo scriva: la vita è vita fin dal concepimento ». È il pilastro del suo lungo impegno. Quella base su cui 40 anni fa si ricominciò a costruire esiste ancora. «Il clima non è poi così negativo – osserva Carraresi –, anche tra i giovani, che se incontrano storie reali, la vita vera di chi l’aborto lo conosce, si dimostrano tutt’altro che insensibili». Nel lavoro educativo, sottolinea, è però importante essere positivi, non colpevolizzanti, «far percepire la bellezza e l’intensità della vita». Anche Olimpia Tarzia ha un’immagine dei giovani «diversa da quella propinataci da tanti media. Alcuni possono essere succubi di certi 'miti', ma se viene detta e mostrata loro la verità, se ricevono proposte di vita e ideali forti, la risposta può essere eccellente».

E potendo tornare indietro, a quei primi mesi del 1981, farebbero qualcosa di diverso? C’è qualche rimpianto? «Avremmo potuto e dovuto comunicare meglio ciò in cui crediamo e ciò che amiamo – spiega Marina Monacchi –: valeva ieri e vale oggi. Non siamo certo quelle persone fissate, quegli oscurantisti come spesso siamo dipinti ». Magari, pur senza indietreggiare, saper dire molti più 'sì': «La cultura della vita – è la convinzione di Bruna Rigoni – si afferma insistendo sulle ragioni e sul fascino della bellezza, contro l’idolatria del denaro e della pura convenienza». Tutt’altro che semplice... Bruna racconta della recente visita, al Cav, di una ragazza incinta, con un bambino di appena otto mesi, senza lavoro. Testimoniare che la vita è sempre e soltanto un dono, in questo e in centinaia di casi simili, è la grande sfida di chi ama incondizionatamente la vita. E nessun referendum potrà convincere del contrario.

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