mercoledì 3 gennaio 2024
È finalmente a casa la piccola nata dopo sole 27 settimane di gestazione, a metà del sesto mese di gravidanza. In Italia lo 0,9% delle nascite è di "grandi prematuri" sotto il chilo e mezzo di peso
L'équipe del professor Motta all'Ospedale Maggiore di Bologna con la bambina, ormai cresciuta

L'équipe del professor Motta all'Ospedale Maggiore di Bologna con la bambina, ormai cresciuta

COMMENTA E CONDIVIDI

Li chiamano “bimbi piuma” perché leggeri e delicati, ancor più degli altri. Sono i neonati pretermine che vengono al mondo con un peso inferiore al chilo e mezzo. In Italia, secondo il rapporto dell’Istituto superiore di sanità, nel 2022 sono stati circa lo 0,9% sul totale. Una di loro è nata ad agosto, all’Ospedale Maggiore di Bologna, alla ventisettesima settimana, cioè a metà del sesto mese di gravidanza, e pesava poco più di ottocento grammi.

Per colpa di una complicanza, le membrane amniotiche si sono rotte e per la mamma e la bimba è stato necessario il parto cesareo. La piccola è stata subito ricoverata nella terapia intensiva neonatale dell’ospedale, dove nella penombra, mantenuta al caldo a una temperatura costante fra i 36 e i 37 gradi, è rimasta per due mesi in una termo-culla. Così come per altri neonati nelle stesse condizioni, i polmoni della bimba erano immaturi, tanto da determinare un’insufficienza respiratoria. «È stato necessario intubarla, avviare la ventilazione meccanica e somministrare il surfattante esogeno, un liquido presente nei polmoni ma carente nel prematuro, che consente di respirare senza fatica», spiega Mario Motta, direttore del reparto di neonatologia del Maggiore. Anche per l’alimentazione si è fatto ricorso alla nutrizione parenterale per via endovenosa, con l’aggiunta del latte materno in piccole quantità perché l’intestino non è preparato a digerire come un bambino a termine.

Una volta superata la fase acuta, a due mesi di vita, raggiunto il chilo e mezzo di peso, però, la piccola ha sviluppato una retinopatia della prematurità. «Lo screening per valutare lo sviluppo ha mostrato la crescita anomala della retina – aggiunge Motta –, una complicanza che, se non trattata, rischia il distacco dal fondo dell’occhio e la perdita della vista. La retinopatia del prematuro è infatti la prima causa di cecità nell’infanzia per cui tutti i bambini gravemente prematuri periodicamente fanno delle visite di controllo». In questi casi non si può aspettare, è necessario intervenire chirurgicamente per evitare danni irreparabili. «La gestione dell’intervento è molto delicata – commenta Motta – comporta un lavoro di équipe fra neonatologia, oculistica e anestesiologia».
Per dare un’idea della difficoltà di un intervento simile occorre pensare che il chirurgo deve operare su occhi piccolissimi e vasi sanguigni ancora più piccoli. «Esistono diverse procedure – illustra Manlio Nicoletti, direttore dell’unità di Oculistica dell'ospedale – che si eseguono su questi bambini, e che vanno dall’iniezione di farmaci nella camera vitrea all’uso di laser o a interventi ancora più strutturati e invasivi». La piccola in particolare è stata operata con il laser e i farmaci. La risposta è stata positiva e non sono state necessarie altre procedure. «L’importante è che questi bambini vengano seguiti nel tempo, ad esempio, nel nostro ospedale abbiamo un percorso diagnostico terapeutico assistenziale di oftalmologia specifico per i prematuri», aggiunge il primario. Oggi la bimba sta bene, vive a casa con i genitori e i fratelli. Per lei e tutti gli altri bambini piuma «il vero obiettivo è farli vivere bene, senza conseguenze invalidanti», osserva Motta.

Oltre alla immaturità degli organi, i bimbi piuma sono maggiormente esposti alle infezioni. «Serve estrema attenzione alle norme igieniche e anche alle manipolazioni che vanno limitate», rammenta Chiara Ghizzi, direttore dipartimento materno infantile dell’ospedale Maggiore di Bologna. Ma una volta che raggiungono la stabilità, viene avviata quella che è chiamata la marsupio-terapia. «Viene tolto dalla termo-culla e appoggiato nudo, sul torace della mamma o del papà anche se intubato. Questo crea un grande contatto ed è estremamente tranquillizzante. È un prendersi cura non solo del bambino ma dell’intera famiglia». A partire dalla ventitreesima settimana di gravidanza, secondo gli studi e le linee guida, la rianimazione è indicata perché gli organi del bambino hanno la capacità di ricevere le cure. «Dobbiamo però sempre tener conto – aggiunge Ghizzi – che ci possono essere degli errori nel calcolo dell’età gestazionale da parte della madre, quindi vanno fatte molte valutazioni in équipe sulle misure di riferimento che aiutano a indicare la crescita del bambino». Di certo, alla nascita le cure vengono assicurate a tutti i neonati: «Viviamo ancora in un Paese che garantisce le terapie – sottolinea la direttrice –, mentre ci sono Stati pure in Europa dove si valutano i costi a carico della società e del paziente di eventuali disabilità».

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: