giovedì 23 aprile 2015
Viaggio in quattro tra i principali poli sanitari pubblici italiani, pronti a praticare la fecondazione con gameti altrui ma bloccati dall’assenza di donatori, di regole e fondi per i compensi, di risorse e strumenti normativi per rifornirsi all’estero.
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​Eterologa un anno dopo: tanti annunci e pochi risultati. La sentenza della Corte Costituzionale targata aprile 2014 sembrava essere risolutiva, ma la realtà dei fatti è che l’eterologa in Italia non decolla, almeno non nei centri pubblici dove le motivazioni della mancata partenza declinano tre insufficienze equivalenti: normativa, donatori, copertura economica.«Abbiamo raccolto le richieste delle coppie con i requisiti, circa una ventina, abbiamo sviluppato informative e consensi agli interventi e le nostre strutture sono pronte, ma finora non abbiamo iniziato – conferma Grace Rabacchi, direttore sanitario di presidio all’Ospedale Sant’Anna di Torino –. Ci scontriamo con la carenza assoluta di donatori e con lo scarso coordinamento tra i quattro centri pubblici individuati e l’Assessorato a tutela della salute». Due aspetti più connessi di quanto non sembri, chiarisce Rabacchi: «Non abbiamo pensato di comprare gameti all’estero, riteniamo debba essere una scelta condivisa a livello regionale: è un problema la cui soluzione va cercata coinvolgendo tutti i livelli istituzionali interessati».
Non va meglio nella vicina Lombardia. Nella Milano lanciata verso l’Expo, il libero scambio di gameti resta ai box. «Dopo un’attenta valutazione di percorsi e costi, noi non facciamo l’eterologa finché non avremo risposte precise», spiega Edgardo Somigliana, responsabile del centro di Procreazione medicalmente assistita (Pma) della Fondazione Ca’ Granda-Policlinico di Milano (ex-Clinica Mangiagalli). «Anzitutto c’è il nodo del registro dei donatori, la Regione aveva detto che voleva il registro lombardo, invece è arrivata l’istituzione di quello nazionale. Poi servono linee guida più snelle rispetto alla complessità farraginosa del documento Stato-Regioni». Infine, spiega Somigliana, c’è il punto cruciale dei Lea (Livelli essenziali di assistenza): «In quali termini è previsto l’inserimento della fecondazione eterologa nei Lea? Come si concreta la copertura economica? Se si garantisce qualcosa ai cittadini poi bisogna essere sicuri di offrirlo». Problema che potrebbe esplodere dal punto di vista del budget del servizio sanitario. Infatti, per effetto della Direttiva europea 2011/24 recepita dal Dl 38/2014, è possibile usufruire presso un altro Stato membro dell’Ue – e soprattutto farsi rimborsare in Italia – le stesse prestazioni di assistenza sanitaria incluse nei Lea se queste non sono disponibili tempestivamente nel proprio territorio. Quanto costa un ciclo di Pma eterologa in Spagna?
Scendendo di diverse centinaia di chilometri verso Sud, le indicazioni dei costi e le specifiche dei Lea si confermano in cima alle preoccupazioni. «Aspettiamo linee guida e Lea. Siamo tutti pronti ma non parte nessuno finché non si capisce chi paga» ribadisce Carmine Nappi, direttore del Dipartimento integrato di Ostetricia, ginecologia e urologia dell’Università di Napoli Federico II. «C’è una grande confusione a livello ministeriale e legislativo. Le richieste ci sono, tantissime, e la gente si chiede perché dopo la sentenza non sia possibile procedere. La verità è che in assenza di norme precise l’eterologa rischia di essere solo un business che favorisce qualcuno».
Anche all’Ospedale Cannizzaro di Catania le perplessità sono all’ordine del giorno. «I tempi del settore pubblico sono molto diversi da quelli dei privati – commenta Placido Borzì, responsabile dei trattamenti del centro di Pma –. È uscito un primo decreto regionale, che autorizzava l’eterologa, ma siamo ancora in attesa del decreto attuativo, e in mancanza di questo non ci muoviamo». L’individuazione di chi si accolla i costi resta scriminante fondamentale in un sistema che deve fare i conti con risorse scarse: «Non abbiamo donatori, perché dovrebbero poter ricevere un rimborso, soprattutto le donne, che affrontano un maggiore disagio. E poi non potrei prescrivere farmaci stimolanti a una donatrice, perché non è affetta da infertilità: questi chi li paga?». Ma poiché dove si crea un vuoto c’è sempre chi trova il modo di riempirlo, ecco che arrivano proposte non disinteressate, racconta Borzì: «Ho già ricevuto telefonate da centri esteri che mi proponevano l’acquisto di gameti, ma ho rifiutato: non abbiamo gli strumenti per farlo».
L’acquisto di gameti "stranieri" non è solo un problema di costi: bisogna anche rispettare regole piuttosto stringenti che riguardano sicurezza e screening. Una complicazione che – si sussurra a mezza bocca tra gli addetti ai lavori e con tutti i "si dice" del caso – alcuni centri privati bypasserebbero abilmente. In breve, l’intero processo di acquisto presso una biobanca estera sarebbe gestito integralmente dalla coppia: dalla scelta del prodotto al completamento dell’ordine. Una volta effettuato il bonifico, il pacco nominativo verrebbe recapitato direttamente presso la struttura dove verrà effettuato l’intervento. Una procedura certamente non praticabile da un centro pubblico: è impensabile aprire una cartella clinica indicando che la paziente si è portata gli ovociti da casa...
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