martedì 4 febbraio 2025
In due interviste recenti lo scrittore e l’artista hanno dato una loro interpretazione su terapie e farmaci per il sollievo. Concetti che lo specialista di cure palliative sente il dovere di chiarire
«Cari Augias e Allevi, sul togliere il dolore attenti agli equivoci»
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«Vorrei morire senza dolore» ha detto in una recente intervista il noto giornalista Corrado Augias. E chi può dargli torto? Si sa che spesso fa più paura il dolore della morte. Può la medicina moderna aiutare a vincere tanto la paura di soffrire quanto la sofferenza stessa? Direi proprio di sì, oggi molto più di prima. Le Cure palliative moderne sono nate, nella seconda metà del secolo scorso, proprio da una intuizione di Cicely Saunders, la fondatrice del primo Hospice al mondo, il St. Cristopher a Londra, che aveva assistito, prima come infermiera e poi come medico, alle fasi terminali di molti malati oncologici vissute nella sofferenza negli ospedali londinesi. Lei per prima capì che la somministrazione di morfina (allora l’unico farmaco oppioide disponibile) a orari fissi poteva alleviare enormemente il dolore di quei pazienti.

Da quel tempo di strada ne è stata fatta, anche in Italia, dove nel 2010 una legge – la 38 – ha stabilito il diritto, potremmo dire, a non soffrire, cioè ad avere terapia del dolore e buone cure palliative, soprattutto alla fine della vita (ma non solo). Le cure palliative affrontano il dolore non solo fisico ma anche psicologico, sociale, e spirituale, che lo rende una esperienza peculiare dell’essere umano. Anzitutto però bisogna cercare di eliminare il dolore fisico, che intrappola anche il cuore e la mente. La morfina e tanti altri farmaci, oppioidi e non, insieme a diverse possibili tecniche antalgiche, oggi permettono di controllare bene il dolore, a opera di medici adeguatamente formati.

A questo proposito, in un’altra recente intervista il celebre musicista Giovanni Allevi, che ha vissuto l’esperienza di una malattia ematologica che coinvolge le ossa (il mieloma multiplo), riferisce che «in quel periodo ero imbottito di oppioidi per far fronte a dolori lancinanti. Tutto sotto strettissimo controllo medico. Gli effetti collaterali erano insostenibili, e ho vissuto pure le crisi di astinenza. A un certo punto ho deciso di smettere, ma l’ho fatto di botto. È stata durissima». A leggerla così, questa esperienza farebbe pensare che la terapia del dolore con oppioidi, che è la regola nei pazienti oncologici, sia una sorta di “droga” che compromette le facoltà di una persona e quindi anche la qualità della sua vita. E questo non è un messaggio certamente positivo (Allevi lo riconosce quando dice di «non voler essere frainteso»), ma soprattutto non è veritiero perché, con una opportuna gradualità, l’eventuale rotazione dei farmaci, l’utilizzo di tecniche antalgiche, guidati da medici formati, la terapia del dolore, parte delle cure palliative – che si prendono cura globalmente della persona –, può dare sollievo senza alterare la personalità. Certo, può non essere facile, nulla è scontato in medicina. Ma l’esperienza di migliaia di pazienti seguiti mi permette di dire che è sempre possibile.

Un’ultima annotazione, tornando alla prima intervista citata. Va infatti precisata un’altra affermazione di Corrado Augias, che può trarre in inganno, quando dice a proposito di un suo amico prossimo alla fine: «...poi un giorno disse: “Basta, non ne posso più”. Gli fecero una iniezione di morfina. Fu il modo migliore per andarsene, senza dolore. Io questo voglio fare». Anche qui c’è un equivoco da chiarire. La morfina, come qualunque farmaco oppioide somministrato per controllare o eliminare il dolore, non provoca la morte di una persona. Lo fa solo se si somministra volontariamente una dose eccessiva e perciò mortale. Ma questa è eutanasia. Comunque uno la pensi sul tema (è noto il pensiero di Augias), non bisogna confondere le due cose: la terapia del dolore non è utilizzata per dare la morte ma per dare sollievo dal dolore. Questo deve essere chiaro per evitare sia che si guardi con sospetto una disciplina che ha il grande merito di migliorare la qualità della vita dei malati sia che si pensi che abbia a che fare con pratiche eutanasiche, non solo tuttora illegali ma – lo dico per esperienza – anche quasi mai richieste dai pazienti che vengono seguiti da buone cure palliative.

Direttore Hospice “San Carlo” Potenza

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