martedì 22 marzo 2016
Ricorso respinto. I giudici della Consulta hanno ritenuto inammissibile la richiesta di togliere il divieto della legge 40 alla ricerca sugli embrioni umani. (Francesco Ognibene)
La Corte Costituzionale salva l’embrione
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Ricorso respinto. I giudici della Consulta hanno ritenuto inammissibile la richiesta di togliere il divieto della legge 40 alla ricerca sugli embrioni umani. L’embrione umano è salvo: resta vietato farne oggetto di sperimentazione e ricerca scientifica. L’ha deciso la Corte Costituzionale respingendo un ricorso che chiedeva di togliere il divieto contenuto nella legge 40. «La Corte Costituzionale, intervenendo ancora una volta sulla legge 40 – si legge nel comunicato diffuso dalla Consulta –, ha esaminato le due questioni di legittimità costituzionale, sollevate dal Tribunale di Firenze, relative, rispettivamente, al divieto (art. 13 della legge 40) di ricerca clinica e sperimentale sull'embrione non finalizzata alla tutela dello stesso; e al divieto (art.6) di revoca del consenso alla procreazione medicalmente assistita dopo l'avvenuta fecondazione dell'ovulo. La prima questione è stata dichiarata inammissibile in ragione dell'elevato grado di discrezionalità, per la complessità dei profili etici e scientifici che lo connotano, del bilanciamento operato dal legislatore tra dignità dell'embrione ed esigenze della ricerca scientifica: bilanciamento che, impropriamente, il Tribunale chiedeva alla Corte di modificare, essendo possibile una pluralità di scelte, inevitabilmente riservate al legislatore. La seconda questione è stata dichiarata, a sua volta, inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio di merito, nel quale risultava che la ricorrente aveva comunque, di fatto, deciso di portare a termine la procreazione medicalmente assistita». Motivazioni che chiudono definitivamente la partita e ripropongono la legge 40 come un punto di «bilanciamento» individuato dal legislatore nel suo ambito di riconosciuta «discrezionalità». «L'embrione non è semplicemente un ammasso di cellule, ma qualcosa di più che merita di essere rispettato. La sentenza della Corte Costituzionale, mantenendo in piedi il divieto di utilizzare gli embrioni congelati per fare ricerca, lo conferma». È il commento del genetista Bruno Dallapiccola, direttore scientifico dell'Ospedale Pediatrico Bambino Gesù. «Le promesse della ricerca sulle cellule staminali embrionali – aggiunge – vanno ben al di là delle sue reali potenzialità. Nonostante in alcuni Paesi questa venga portata avanti già da diverso tempo non sono stati raggiunti i risultati che molti speravano. L'idea che la ricerca sulle staminali embrionali sia utile per curare malattie gravi oggi intrattabili è, a mio avviso, solo uno slogan che non trova alcun riscontro nella realtà. Mentre le cellule staminali adulte hanno portato a risultati tangibili e trasferibili in clinica, e mentre le cellule pluripotenti indotte hanno portato alla costruzione di modelli sperimentali di malattie, le staminali embrionali non hanno portato a niente. Nonostante la legge 40 sia stata fatta in pezzi in altre occasioni, mantenere intatto il divieto di fare ricerca con le staminali embrionali è, a mio avviso, un messaggio importante. Basta dare priorità a qualcosa che interessa solo una manciata di laboratori, quelli cioè che vorrebbero fare ricerca con le staminali embrionali, e dedichiamoci invece a questioni più urgenti». La questione Essere umano o cavia? È su questo nodo relativo agli embrioni che la Corte Costituzionale era stata chiamata a pronunciarsi dal ricorso del Tribunale di Firenze che voleva sapere se il divieto contenuto nella legge 40 di usare gli embrioni scartati o avanzati da cicli di fecondazione e custoditi a tempo indeterminato nei freezer di cliniche e ospedali fosse legittimo o meno. La questione era nata dal ricorso di una coppia che si rivolse al centro Demetra, specializzato in fecondazione artificiale. Tra gli embrioni concepiti in vitro erano stati messi da parte e congelati quelli sui quali c’erano dubbi circa la loro integrità genetica. La coppia aveva poi chiesto che questi embrioni – vite umane individuali, che una volta impiantate sono nelle condizioni di dar vita a un bambino – fossero messi a disposizione della ricerca per comprendere le anomalie dalle quali erano affetti, scontrandosi però col divieto espresso dalla legge del 2004 sempre confermato dalla ripetute pronunce della Consulta (che si era pronunciata su altre questioni lasciando intatta la legge 40 su un punto tanto delicato). Aprire all’uso degli embrioni come materiale biologico utilizzabile in laboratorio avrebbe significato autorizzare di fatto lo sfruttamento della vita umana come cavia da laboratorio, pur con le migliori intenzioni del mondo, dunque violandone l’intangibile dignità. Due i fatti rilevanti dell’udienza pubblica che in mattinata aveva preceduto il verdetto della Consulta, giunto nel breve volgere di poche ore. Anzitutto i giudici avevano respinto la richiesta degli avvocati ricorrenti di ascoltare le tesi di un gruppo di scienziati capeggiati dalla senatrice a vita Elena Cattaneo e appoggiati dall’associazione radicale Luca Coscioni, favorevole alla libertà assoluta e incondizionata della ricerca scientifica senza alcun riguardo per lo statuto dell’embrione umano. Inoltre la Corte non aveva accolto la costituzione in giudizio degli avvocati della coppia – Gianni Baldini e Filomena Gallo, da sempre al fianco delle cause di matrice radicale davanti alla Corte contro la legge 40 – perché la loro richiesta era arrivata fuori tempo massimo. Dunque davanti ai giudici aveva parlato la sola Avvocatura dello Stato – tramite l’avvocato Gabriella Palmieri – tornata a difendere la legge 40 per conto del Governo dopo alcuni ricorsi nei quali aveva rinunciato al suo diritto-dovere. Un segnale importante, specie dopo il clamoroso e inatteso successo che l’Italia aveva ottenuto in agosto davanti alla Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell’uomo che su un caso analogo – la richiesta di devolvere alla scienza embrioni ai quali aveva rinunciato Adele Parrillo dopo la tragica morte del compagno, ucciso nell’attentato di Nasiryah – aveva dato torto alla ricorrente riconoscendo l’ampio margine di autonomia dello Stato nel decidere come regolamentare la sorte dei loro embrioni. Una linea confermata dalla sentenza della Corte italiana. «Su questo tema è necessario ridare un ruolo centrale al Parlamento – aveva detto l’avvocato Palmieri davanti ai giudici costituzionali facendo eco a quel verdetto, non a caso atteso dalla Consulta prima di esaminare il ricorso fiorentino – perché la normativa prevede un bilanciamento di più interessi e più diritti. La questione va riportata al legislatore», che peraltro – come ha notato poi la Corte – si è già espresso con estrema chiarezza proprio tramite la legge 40. La questione, aveva aggiunto Gabriella Palmieri, tocca «tre piani che si intersecano tra loro: quello del diritto costituzionale, quello del diritto internazionale e quello della scienza. C’è chi sostiene che basti un diritto soft e chi invece in nome di un tecnoscientismo assoluto ritiene non vada disciplinato alcun profilo». Tuttavia «scienza, diritto e tecnica è un trinomio che non costituisce una scala di valori ma implica un bilanciamento che il Parlamento deve valutare».
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