giovedì 3 giugno 2021
All’Ospedale romano San Giovanni Battista, dell’Ordine di Malta, c’è l’ippoterapia per riabilitare i pazienti più segnati
«Dal Covid si può uscire. A cavallo»
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Polvere, sabbia, caldo, non importa adesso nemmeno più che il coronavirus abbia fatto loro quasi sfiorare la morte. Si riabilitano anche in questo maneggio dove non te l’aspetti, dentro l’Ospedale San Giovanni Battista, che è dell’Ordine di Malta, Magliana, periferia sud capitolina. «Ho preso il Covid in maniera grave a metà dello scorso settembre, pur essendo quasi un negazionista», racconta Piero Pavia, che la riabilitazione l’ha appena finita: «Sono stato ricoverato allo Spallanzani in rianimazione, intubato, praticamente in coma per quindici giorni, oltre ad altri due mesi di ospedale e al mese successivo fatto qui ai Cavalieri di Malta», con doppia polmonite interstiziale. Muoveva assai poco la sua parte destra e per niente il piede.

Simbiosi. Piero non era mai salito su un cavallo, qui ha scoperto che è «un animale meraviglioso. Ci si entra in simbiosi – spiega –. E si capisce che ti aiuta nella tua riabilitazione fisica e non solo, mi ha aiutato anche psicologicamente. Perché capisci che sta lavorando per te, lo percepisci proprio, che se necessario si ferma, rispetta i tuoi tempi, t’aspetta...». Non è ancora fuori del tutto, Piero, dalle conseguenze dell’incubo Covid, però «già avere recuperato fisicamente per me è una grande vittoria contro un mostro così brutto».

Aiuto motorio e psicologico. La terapia con il cavallo, oltre a quella tradizionale, qui serve a riabilitare i pazienti neurologici e da un anno anche quelli post Covid. «La prima parte del lavoro è a terra, ad esempio spazzolando il cavallo – spiega Giorgia De Santis, infermiera –, poi prosegue con la messa in sella». Lavoro che «serve a livello motorio e psicologico, per la fiducia in se stessi e negli altri». E alla fine di ogni incontro, prima d’andar via, il paziente dà uno zuccherino al cavallo. Che non lo rifiuta mai...

«La annusò e si mise a sua disposizione». Già, ma come fa un cavallo a innescare tutto questo? Sembra strano eppure non lo è. Valentina Zinicola, fisioterapista dell’Associazione onlus monsignor Azelio Manzetti, alla quale è affidata l’ippoterapia al San Giovanni Battista, lo racconta ancora emozionandosi: «Seguivamo una donna ormai terminale con una grande passione per i cavalli. Abbiamo deciso di tentare il trattamento con l’ippoterapia e la risposta è stata spettacolare, neanche noi ce l’aspettavamo. Subito, la prima volta che la cavalla incontrò questa donna, la annusò, e da quel momento si mise a sua disposizione, lasciandosi accarezzare, restando completamente ferma, senza neppure scacciarsi le mosche». Anche Valentina è certa: «Questa terapia porta davvero grandi benefici, è una cosa meravigliosa».

Il periodo buio. Se Piero non era mai salito a cavallo, Barbara Pennese ne aveva proprio paura: «Mi ha aiutato molto. Ho superato la paura e mi ha aiutato anche psicologicamente». Oltre al coronavirus, «vengo da un momento difficile – continua –, è morto mio fratello, è morta mia mamma». La aiutano a montare e poi «sopra il cavallo mi sento libera, sento me stessa». Non è facile, per niente. Lo ripete Anna Paola Santaroni, la direttrice genera- le dell’Ospedale San Giovanni Battista: «Chi ha avuto il Covid ha vissuto un periodo buio della sua vita, lo so, l’ho avuto anch’io, e anch’io sono stata ricoverata».

Risultati eccellenti. Qui al San Giovanni Battista finora hanno riabilitato un centinaio di pazienti che avevano preso il coronavirus in forme gravi, una sessantina ha fatto la terapia assistita con i cavalli e «i risultati sono stati eccellenti», dice la direttrice Santaroni. Perché «viene fatta all’aria aperta – aggiunge Valentina Zinicola –, perché è in un ambiente demedicalizzato, perché il paziente si sente libero, prende coscienza di se stesso, soprattutto poi riscopre un ruolo»: cioè, «dopo tanto tempo che è stato accudito, lui deve prendersi cura del cavallo». E tutto questo «ha un valore aggiunto nella riabilitazione », sottolinea Anna Paola Santaroni.

«Vogliamo aiutare». Il San Giovanni Battista ha come consulenti gli infettivologi dello Spallanzani, «con i quali abbiamo un ottimo rapporto – spiega Anna Paola Santaroni –, da questo è nato il nostro desiderio d’aiutare in un momento così difficile come la pandemia ». E quindi, aggiunge, «senza creare difficoltà alla Regione e a nessuno, visto che il codice è lo stesso della riabilitazione che facciamo, siamo riusciti a prendere i pazienti che ne avevano bisogno». Un impegno che Santaroni racconta con orgoglio: «Questo ha aiutato la struttura dello Spallanzani, e soprattutto la società». Nel maneggio ci si diverte. I pazienti si affidano ai terapisti e ai cavalli, lavorano, giocano e stanno insieme: non sembra soltanto riabilitazione, o forse è davvero così, per tutti questi motivi, la migliore riabilitazione. Ci teneva troppo, la direttrice. Perché non s’è mai dimenticata: «All’inizio della pandemia sono stata ricoverata allo Spallanzani, e ho visto sia la disperazione del paziente, vivendola io in prima persona, sia la difficoltà dei medici anche a dimettere questi pazienti».


L’ospedale

L’Associazione dei Cavalieri italiani dell’Ordine di Malta gestisce a Roma l’Ospedale San Giovanni Battista, specializzato in riabilitazione neurologica e motoria e integrato con il servizio pubblico, che gestisce circa 2.400 ricoveri l’anno. Dispone di 240 posti letto, dei quali 199 di degenza ordinaria di Medicina fisica e riabilitativa, 20 posti di degenza ordinaria di Neuroriabilitazione per gravi cerebrolesioni acquisite dell’adulto, 21 di day hospital di Medicina fisica e riabilitativa. Non ha servizio di pronto soccorso, né effettua ricoveri d’urgenza. Una delle pazienti alle prese con l’ippoterapia

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