giovedì 22 maggio 2025
I 15 anni di attività in Italia della Vigna di Rachele, in ascolto di donne e coppie che hanno interrotto una gravidanza. Parla Monika Rodman Montanaro, pioniera nel nostro Paese
Monika Rodman e il marito Domenico Montanaro

Monika Rodman e il marito Domenico Montanaro - La Vigna di Rachele

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La Vigna di Rachele è un apostolato internazionale per la guarigione interiore dopo un aborto, nato grazie alla psicoterapeuta statunitense Theresa Burke. Oggi i weekend sono offerti in 30 lingue in 300 sedi locali non solo in Nord America ma in vari Paesi in Europa, America Latina, Asia e Africa. Anche Leone XIV conosce la Vigna, attiva in Perù, da quando era vescovo a Chiclayo. Ognuna delle sedi locali è gestita indipendentemente: alcune sono ospitate da uffici diocesani per la pastorale familiare, altre hanno come sponsor un consultorio cattolico oppure un centro di assistenza alla gravidanza. La fondatrice della Vigna di Rachele in Italia è Monika Rodman, che prima di arrivare nel nostro Paese aveva lavorato 12 anni a tempo pieno nella pastorale familiare diocesana della Chiesa cattolica degli Stati Uniti. In Italia Monika e suo marito collaborano con sacerdoti, psicoterapeuti, counselor ed ex-partecipanti al ritiro. Nel 2025 la presenza della Vigna in Italia compie 15 anni. Il prossimo ritiro si svolgerà a Bologna da domani al 25 maggio, con altri appuntamenti in autunno sia a Bologna sia a Bergamo. Per informazioni www.vignadirachele.org.

Monika Rodman Montanaro arrivò nel nostro Paese dagli Stati Uniti nel 2007 seguendo il marito italiano e portando con sé dall’America l’esperienza de La Vigna di Rachele, proposta di riflessione e “guarigione” rivolta a chi ha sperimentato l’aborto volontario, la perdita spontanea di una gravidanza o quel tipo di aborto che viene definito terapeutico.

Monika, nel 2010 immaginava di arrivare così lontano?

Quel piccolo seme, gettato 15 anni fa, nel corso degli anni è stato innaffiato da tante grazie e da tante bellissime storie vissute da donne e da coppie che hanno trovato aiuto per rielaborare il lutto nel ritiro spirituale e nell'accompagnamento offerto dalla Vigna.

Le persone come scoprono la Vigna?

Generalmente attraverso un sacerdote o il passaparola di qualche amica. Si lavora sempre in équipe, che è il vero tesoro della Vigna: c’è sempre un sacerdote, alcuni professionisti nel campo della salute mentale. Infine ci sono tre o quattro persone che hanno vissuto loro stesse questo percorso, dopo aver perso uno o più figli con l’aborto. Loro mettono a disposizione la grazia vissuta, formandosi per accompagnare altre persone. Ormai siamo circa 15 collaboratori provenienti da varie regioni italiane.

Quanti ritiri organizzate ogni anno?

Offriamo tre ritiri all'anno nella città che per prima ci ha accolti e ospitati, Bologna. Da due anni c'è anche una sede a Bergamo, e l’anno prossimo contiamo di avviare in Veneto e a Roma il formato originale della Vigna di Rachele, cioè il gruppo di riunione settimanale per una durata di qualche mese.

In cosa consiste il ritiro?

Il ritiro è in un certo senso un pellegrinaggio, un percorso efficace proprio per il fatto che chiama fuori dalla quotidianità per vivere tre giorni di grazia. Si inizia il venerdì, giorno della Croce e del Calvario, si prosegue sabato – la Tomba – e si conclude domenica – la Risurrezione, in un percorso che potremmo dire pasquale. È un weekend intenso, una full immersion che permette di vivere in modo molto profondo il lutto per i figli mai nati.

Perché si chiama La Vigna di Rachele?

La Vigna perché anche se accogliamo persone di fede cristiana o no la radice dell’opera stessa è sempre Cristo, da cui prende la linfa vitale. Rachele nella Bibbia è il simbolo della madre che piange i suoi figli. Il Signore la consola e le dice che torneranno nella loro terra: sembrano parole strane ma in un certo senso toccano l'essenziale dell’esperienza della Vigna. Non si tratta infatti solo di un percorso per elaborare ’un lutto, per vivere il perdono e la riconciliazione, ma anche per ritrovare la propria maternità persa con l'aborto. Sì, perché c’è una relazione troncata, un legame materno e paterno spezzato, che attraverso il ritiro si cerca di ricucire, riconoscendo il bambino abortito come figlio e sé stessi come madri e padri. Questa può essere una rivoluzione nel modo in cui si vede sé stessi, quasi un'epifania, come ci ha detto più di una donna.

Un momento del weekend di ritiro proposto periodicamente da La Vigna di Rachele.

Un momento del weekend di ritiro proposto periodicamente da La Vigna di Rachele. - La Vigna di Rachele

Come è nata La Vigna di Rachele?

La fondatrice è la psicoterapeuta cattolica Theresa Burke, che ha iniziato a offrire un accompagnamento post aborto in un ambiente totalmente laico. Curava individualmente le donne che arrivavano da lei con questa ferita. Ben presto ha capito che anche le migliori tecniche psicoterapeutiche spesso non toccavano il nocciolo del problema che per molte donne era anche spirituale, di senso. Si chiedevano: mio figlio mi perdona? Mio figlio dove sarà adesso? Lo potrò rivedere un giorno? La dottoressa Burke ha riconosciuto che nella fede ci sono tante risorse per aiutare queste persone a vivere un'esperienza di riconciliazione anche spirituale con il figlio perso, con sé stesse e a volte anche con chi ha spinto verso la scelta abortiva.

Chi partecipa ai ritiri, e quante persone sono state coinvolte nella Vigna in questi 15 anni?

Soprattutto donne, ma anche coppie, e giovani accompagnate da padri o madri che hanno avuto una parte nella decisione presa. In questi 15 anni hanno partecipato al percorso completo più di 300 persone. Dal diacono permanente con la moglie alla persona che all’iscrizione si dichiara atea o non praticante. Normalmente arrivano oltre dieci anni dopo l'aborto, e questo ha a che fare con la natura stessa dell'esperienza, un evento così drammatico che spesso viene messo nel dimenticatoio. Poi negli anni, magari quando si decide di mettere su famiglia con un partner stabile, o avvicinandosi al matrimonio, oppure con l'arrivo del primo nipotino, può tornare a galla. E allora, come ci ha detto una delle prime donne che ci ha contattato tanti anni fa, si riapre il vulcano in un modo inaspettato. Oltre ai partecipanti al ritiro, centinaia di persone si sono avvicinate a noi telefonando, facendo colloqui, chiedendoci informazioni, preghiera, supporto a distanza. Tutti esprimono una grande necessità di raccontarsi e di raccontare un dolore soppresso, nascosto. Noi li ascoltiamo senza fretta, profondamente e pazientemente. Pochi giorni fa sono stata 90 minuti al telefono con una 30enne che meno di un anno fa ha vissuto l'aborto farmacologico. È un fenomeno nuovo, particolarmente tragico, nel senso che sembra essere più facile, più comodo rispetto alla Ivg chirurgica, ma la donna è sola in casa, e quindi quell’ambiente, una volta familiare, si trasforma in un luogo di ricordi drammatici.

Non c’è il rischio di apparire giudicanti, e dunque respingenti, nei confronti delle donne che hanno abortito?

Dal primo istante in cui vedono il sito internet (Vignadirachele.org), o scrivono una email anche di una sola riga, le persone trovano grande accoglienza e ascolto. La sfida è dare il coraggio alle persone almeno di informarsi, per capire l'approccio sulla via della bellezza che ci apre alla grazia. L’immagine biblica che più concretamente esprime lo spirito dei tre giorni vissuti nella Vigna è quella del Figlio prodigo che torna alla casa del Padre. I partecipanti, credenti o meno, commentano che fin dall’arrivo percepiscono un clima di accoglienza e fraternità.

Ci racconta la storia di una persona che si è iscritta al prossimo ritiro dal 23 al 25 maggio?

La prima a iscriversi è stata una coppia consolidata, con due figli ormai grandi. Quindici anni fa lei è rimasta incinta del terzo figlio ma hanno deciso di abortire. Entrambi da allora vivono un dolore che nasce dal fatto che il rifiuto non aveva motivi particolari. Stavano bene economicamente, ma lei per tanti motivi personali non se la sentiva di ricominciare l’impegno di crescere un figlio. Il marito era pentito per non aver lottato di più per la vita di quel figlio, perché lui avrebbe voluto accoglierlo, ma non ha trovato voce. La donna, dopo anni, è andata a confessarsi nel Duomo della sua città, e in confessionale casualmente ha trovato un sacerdote penitenziere che era anche uno dei nostri primi collaboratori. È stato lui a indirizzare la donna e suo marito da noi alla Vigna. © RIPRODUZIONE RISERVATA Sopra, Monika Rodman Montanaro. A sinistra, un momento del weekend di ritiro proposto periodicamente da La Vigna di Rachele

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