sabato 19 ottobre 2019
Crescono gli impegni dell'istituzione fondata a Torino da san Giuseppe Cottolengo per accogliere le persone abbandonate e rifiutate per la loro condizione. E cresce l'affidamento alla Provvidenza.
La cittadella torinese del Cottolengo, al centro la chiesa

La cittadella torinese del Cottolengo, al centro la chiesa - FIMI

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«Per quanti entrano nella Piccola Casa, altrettante pagnotte discendono dal cielo. Una cadun giorno per ciascuno; e non sono io che le fo discendere, è la Divina Provvidenza, la quale si diverte a gettar giù pagnotte su pagnotte». I santi sono fatti così: vanno dritti al cuore delle questioni, senza tante subordinate. E guardano al Cielo non come a un’eventualità ma sapendolo ingaggiato fianco a fianco con chi si dispone a mettere tutto ciò che ha. La frase è di san Giuseppe Cottolengo, tipica del dire schietto del grande testimone torinese della carità. Dalla sua fede è nata ormai due secoli fa quella Piccola Casa della Divina Provvidenza che sull’intervento sovrabbondante e fantasioso di Dio sa di poter contare sempre.

La presentazione nella storica cittadella di Torino del Bilancio sociale 2018 – opera dell’economista Cristiana Schena – ha consentito a istituzioni e benefattori di toccare con mano il segreto di quest’opera che seguita a espandersi, mettendo ogni impegno per tener dietro alle esigenze che sorgono dalla società: disabili gravi abbandonati da un sistema sanitario che non ce la fa più, anziani non autosufficienti che le famiglie non sono in grado di accudire, persone con disagio psichico che nessuno vuole... La società che esclude e scarta, e che presto potrebbe disporre di una legge sul suicidio assistito per chi si sente rifiutato, ha bisogno di luoghi come il Cottolengo non solo perché almeno qui si opera «Insieme a servizio della dignità della persona», come recita il titolo del Bilancio voluto dal padre generale don Carmine Arice.

Entrando nella Piccola Casa, merita una sosta la chiesa dove le suore levano la loro preghiera, cantando. Ecco perché il Cottolengo cresce: alle fondamenta c’è, salda, la certezza che tutto è dono, ricevuto e dato. Nel Bilancio don Arice ha voluto aggiungere accanto a entrate e costi una terza colonna: gli «investimenti carismatici», ovvero ciò che in Casa si spende per chi non ha nulla da dare in cambio: come gli ospiti "storici", nati e vissuti qui; o i religiosi che dopo essersi consumati per gli altri sono accuditi in tutto e la cui «presenza tra noi – dice Arice – è come un tesoro nascosto, perché il dono della loro vita e della loro preghiera attira benedizioni dal Cielo».

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