Perché la legge della Toscana va oltre le sentenze della Consulta

La recente impugnazione da parte dell'esecutivo della prima norma (regionale) in Italia a legalizzare il suicidio assistito non deve destare stupore: le ragioni perché la Consulta possa intervenir
May 19, 2025
Perché la legge della Toscana va oltre le sentenze della Consulta
Corte costituzionale chiamata in causa dal Governo che ha impugnato il provvedimento della Regione. Ma in passato ha già detto che l’uniformità normativa è essenziale Il Governo ha deciso nei giorni scorsi di impugnare davanti alla Corte costituzionale la legge della Regione Toscana sul fine vita. La materia è chiaramente riservata dalla Costituzione alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. In effetti, quasi dieci anni fa il “giudice delle leggi” ha avuto modo di chiarire che tale materia « necessita di uniformità di trattamento sul territorio nazionale, per ragioni imperative di eguaglianza».
Neppure la mancanza di «una specifica disciplina nazionale (...) vale a giustificare in alcun modo l’interferenza della legislazione regionale in una materia affidata in via esclusiva alla competenza dello Stato». La Consulta si era espressa in questi termini con riferimento alle disposizioni anticipate di trattamento (sentenza 262 del 2016). Certe affermazioni sembrano tuttavia ancor più pertinenti per la disciplina in esame, la quale, condizionando l’applicazione delle norme penali che puniscono l’assistenza al suicidio, finisce per incidere sull’ordinamento civile e penale (articolo 117 Costituzione, comma II). Eppure, la decisione dell’Esecutivo non ha mancato di suscitare critiche. Si è detto che il legislatore regionale avrebbe semplicemente dato attuazione alla giurisprudenza costituzionale e che sarebbe stato costretto a farlo a causa del prolungarsi dell’inerzia del Parlamento nonostante il richiamo del “giudice delle leggi”.
Non si tratta di rilievi persuasivi. La legge toscana non si limita infatti a dare attuazione alle sentenze della Corte costituzionale. Com’è ormai ben noto, queste ultime hanno semplicemente individuato una circoscritta area di non punibilità del reato di aiuto al suicidio, ma non hanno riconosciuto al paziente un diritto al suicidio assistito né nei confronti dei medici né nei confronti delle strutture sanitarie. La legge regionale toscana, invece, nel regolare «le procedure relative al suicidio medicalmente assistito» e nel prevedere, in particolare, che «l’azienda unità sanitaria assicura (...) il supporto tecnico e farmacologico nonché l’assistenza sanitaria per la preparazione all’autosomministrazione del farmaco» assume che il paziente sia titolare di un corrispondente diritto almeno nei confronti del sistema sanitario. Siamo evidentemente ben al di là di quanto affermato dalla Corte costituzionale.
Quanto poi al secondo argomento, non sembra corretto intendere l’inerzia del Parlamento come una scelta di disinteresse e di opportunismo: una scelta che dovrebbe essere imputata a ben quattro diverse maggioranze politiche succedutesi nel tempo. Si tratta in realtà di una risposta politica a un dilemma – quello posto dalle decisioni della Consulta – che appare davvero insolubile: garantire l’inviolabilità della vita – e perciò la sua indisponibilità – e, al tempo stesso, almeno in certi casi, la tragica scelta del malato di darsi la morte attraverso l’autosomministrazione di un farmaco letale.
*Ordinario Diritto privato Università Europea di Roma
**Ordinario Diritto costituzionale Università Europea di Roma

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