«Le famiglie soffrono con i loro malati, non lasciamole indietro»
Il dibattito è tutto sulla scelta del paziente oscurando la situazione di chi convive a lungo con la malattia o esiti di un trauma: la testimonianza del fondatore della Casa dei Risvegli di Bologn

Si può avere una vita piena convivendo con la malattia? Nella nostra società il dibattito sul fine vita e l’autodeterminazione ha assunto un ruolo centrale, mentre si presta meno attenzione a chi affronta la malattia nella sua persistenza, insieme ai familiari che condividono le conseguenze di questa condizione.
*Il focus spesso è sulla ricerca di una cura o sulla gestione del dolore fisico, ma un aspetto cruciale è la qualità della vita di chi convive con una patologia cronica o degenerativa e il ruolo della società nel supportarli.
Secondo i dati Istat, in Italia sono oltre 3 milioni le persone con disabilità, e se la legge delega che li riguarda era stata accolta con molta soddisfazione dalle associazioni e gli enti del terzo settore di riferimento, il suo recente rinvio al 2026 ( si è detto «per testare e perfezionare le nuove misure prima della loro applicazione su scala nazionale») ha provocato non poche preoccupazioni.
Di questo si parla poco. Anzi, non se ne parla affatto. E invece è il nodo centrale del diritto alla cura e della dignità della persona nella vita che convive con la malattia. Di questo noi ci occupiamo tutti i giorni: per noi riguarda le persone con esiti di coma, ma il mio sguardo in qualità di membro dell’Osservatorio nazionale sulla condizione delle persone con disabilità si amplia a tutto il mondo della disabilità.
La gestione della malattia si trasforma in una sfida quotidiana che coinvolge l’intero nucleo familiare, richiedendo forza, resilienza e un adattamento costante alle nuove esigenze. La mancanza di adeguati supporti, sia economici che psicologici, rende ancora più difficile affrontare la convivenza con la malattia, aumentando il rischio di isolamento e di disagio psicologico sia per la persona con disabilità che per chi l’assiste.
Spetta alla società e alle istituzioni garantire una vita piena a chi convive con la malattia. Essa non è un’interruzione della vita ma parte integrante dell’esistenza. Serve ripensare le strutture sanitarie, i servizi sociali e le politiche di inclusione per favorire la partecipazione attiva, garantendo cure adeguate, opportunità lavorative flessibili, spazi di socializzazione e supporto psicologico per una dignitosa qualità della vita.
Dobbiamo anche cambiare la narrazione mediatica della malattia. Non esistono “guerrieri” o “eroi”, ma persone che, senza retorica, vittimismo o compassione, chiedono di non essere lasciate sole, di vivere con dignità, equilibrio e rispetto. E anche di morire bene.
Il progetto di vita può essere sempre pieno, ma serve un cambiamento culturale che ponga al centro ascolto, supporto e inclusione. Una società che si concentra solo sul fine vita e trascura chi affronta ogni giorno la malattia rischia di lasciare indietro una parte fondamentale dei suoi membri.
Il progetto di vita può essere sempre pieno, ma serve un cambiamento culturale che ponga al centro ascolto, supporto e inclusione. Una società che si concentra solo sul fine vita e trascura chi affronta ogni giorno la malattia rischia di lasciare indietro una parte fondamentale dei suoi membri.
La persona non è la sua malattia: la vera sfida è costruire un sistema che permetta a tutti di vivere con dignità, indipendentemente dalla loro condizione di salute.
*Presidente Gli amici di Luca Casa dei Risvegli Luca De Nigris
*Presidente Gli amici di Luca Casa dei Risvegli Luca De Nigris
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