La vita di Checco scritta con gli occhi, «per dire che ne vale sempre la pena»

di Grazia Micarelli
Francesco Lorenzini ha visto il suo futuro comprimersi per l’irrompere della Sla. Ma con Sara e i due figli ha deciso di affrontare una malattia che non dà speranze accettando di conviverci. E vivendola fino in fondo. Così nasce anche il suo libro coraggioso e commovente
December 23, 2025
La vita di Checco scritta con gli occhi, «per dire che ne vale sempre la pena»
Checco con Sara e i figli in una foto di famiglia del 2021. La diagnosi di Sla arriva nell'aprile 2023
Amare la vita nonostante tutto. Non è uno slogan, né una frase di circostanza. È un atto di verità. È così che Checco – Francesco Lorenzini – sceglie di iniziare a raccontarsi in una biografia intitolata Io sono Francesco. Amare la vita nonostante tutto. Checco è malato di Sclerosi laterale amiotrofica (Sla), e scrive con gli occhi. Una lettera alla volta, attraverso un puntatore, con il supporto di Silvia Canfailla, la sua assistente spirituale. Un gesto lento, ostinato, radicale. Perché raccontarsi, quando il corpo si sottrae, non è un esercizio di memoria: è una scelta di presenza. È dire “io ci sono”, anche così.
In apertura, si affida alle parole della scrittrice americana Marianne Williamson: «La nostra più grande paura non è quella di essere inadeguati. La nostra più grande paura è quella di essere potenti al di là di ogni misura. Appena ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra presenza automaticamente libera gli altri». Quando una malattia come la Sla arriva, nell'aprile 2023, il mondo si restringe. La quotidianità si frantuma. La difficoltà di parlare e muoversi, la necessità di lasciare il lavoro, l’urgenza di ridefinire tutto. Come scrive Checco, «per la prima volta nella mia vita non riuscivo a capire cosa mi stesse accadendo». È lo spaesamento assoluto, quello per cui nessuno è davvero preparato. È lì che la paura prende voce. Ed è da lì che, contro ogni istinto di fuga, nasce il bisogno di restare. È da questo punto che Checco decide di raccontarsi. Non per spiegare ma per dare ordine all’esperienza, con una scelta chiara: non sottrarsi. Dalla paura, dalla fatica, dalla perdita, nasce la densità del racconto, accompagnata dalle illustrazioni di Stefania Mallegni, che rendono visibili emozioni, passaggi interiori, silenzi.
Checco insieme ai figli nel giugno 2022
Checco insieme ai figli nel giugno 2022
Il testo è in quattro capitoli come altrettante stagioni dell’esistenza: l’adolescenza e le amicizie, l’amore, il lavoro, la malattia. Tra foto e immagini, Checco attraversa la sua storia senza idealizzarla. Racconta l’intensità delle relazioni, il valore del fare, il senso di appartenenza. E poi, il cambiamento di prospettiva imposto dalla malattia non come fine della vita ma luogo in cui la vota chiede di essere abitata diversamente.
Checco incontra Sara nell’estate del 2000: un incontro immediato, totale, la sensazione di conoscersi da sempre. Da allora, vent’anni insieme, due figli – Filippo e Alessandro – e una vita costruita a quattro mani. Essere genitori, per loro, significa accompagnare senza sostituirsi, offrire fiducia anche quando tutto sembra fragile. Oggi i figli hanno 18 e 14 anni. Sara racconta con orgoglio che tra gli amici condividono la storia del papà come qualcosa di prezioso. «È come se volessero dire chi siamo e da dove veniamo», racconta. La malattia non cancella la trasmissione, non interrompe il filo tra le generazioni.
Sara e Francesco nell'aprile 2023, nel periodo in cui a Checco viene diagnosticata la Sla
Sara e Francesco nell'aprile 2023, nel periodo in cui a Checco viene diagnosticata la Sla
Quando la Sla entra nella quotidianità nulla viene edulcorato. C’è un senso di perdita costante, perché ogni giorno qualcosa se ne va e non torna. Sara lo dice con lucidità disarmante: tanto amore, tanto dolore, tanta fatica. Tanto amore e tanta paura. Vivere accanto a chi ami è difficile. E non smette mai di esserlo. Ma è proprio qui che il racconto si fa più profondo. Non si tratta di “superare” la malattia: non è una narrazione eroica ma di presenza. Stare, dice Sara: stare insieme, nella fatica, accanto ai figli. Stare nel tempo che c’è, e renderlo pieno. Sul suo polso porta tatuate parole di Rupi Kaur – «Soprattutto ama come se fosse l’unica cosa che sai fare» – per i giorni in cui la paura sembra avere la meglio.
In questo percorso, Checco e Sara trovano in AiSla e nel Centro clinico NeMO di Milano un riferimento umano e competente. Non solo un luogo di cura, ma uno spazio di alleanza, dove la malattia non riduce la persona alla diagnosi e la vita continua a essere riconosciuta nella sua interezza.
Una illustrazione di Lorenza Sighenzi per il libro di Checco
Una illustrazione di Lorenza Sighenzi per il libro di Checco
A chiudere il racconto, una poesia di Elli Michler, quasi una consegna: «Ti auguro tempo. Tempo per vivere, per amare, per perdonare. Non il tempo che corre, ma quello che resta. Quello che si abita». Come scrive Checco, «se mi chiedete se sono riuscito ad accettare la mia condizione rispondo con un bel “ni”, ma posso dire con certezza che ho smesso di chiedermi: “perché a me?”. E se invece mi chiedete se questa nuova vita è faticosa rispondo senza dubbio “sì”, ma vale la pena di viverla appieno. Magari facendo un passo alla volta e soprattutto facendolo con le persone più care».
La storia di Checco e Sara non offre soluzioni né scorciatoie. Non addolcisce la fatica né cancella il dolore, non nasconde il lutto quotidiano che accompagna ogni perdita irreversibile. Racconta, piuttosto, un modo diverso di stare nella vita: con lucidità, con amore, con responsabilità.
Checco e Sara a Sharm nel dicembre 2022, quando si affacciano i primi sintomi
Checco e Sara a Sharm nel dicembre 2022, quando si affacciano i primi sintomi
Il tempo, quando sembra più fragile, smette di essere qualcosa da consumare e diventa qualcosa da custodire. Da condividere. Da onorare. È questo il dono più grande che questa storia consegna: non la promessa che tutto andrà bene, ma la certezza che ogni istante può avere senso. E allora sì, amare la vita nonostante tutto non è un atto eroico. È un atto umano.
Ed è forse il modo più autentico di vivere il Santo Natale: riconoscendo che la vita, anche quando ferisce, resta degna di essere vissuta fino in fondo.
Per saperne di più sul libro: info@aisla.it

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Temi