La Corte Costituzionale ascolta i malati che chiedono di vivere

Serrato contraddittorio nell’udienza della Consulta sulla prima richiesta di eutanasia che arriva alla sua attenzione. I giudici ammettono i pazienti che non vogliono cedimenti al “diritto di morire"
July 7, 2025
La Corte Costituzionale ascolta i malati che chiedono di vivere
Ciò che va riconosciuto è un diritto della persona fino all’ultimo di «desistere dal proprio intento suicidario e di fare una scelta nel senso della vita». Anche perché già in passato la Corte in due ordinanze «ha escluso la sussistenza del diritto a morire, riconoscendo al paziente solo la libertà di lasciarsi morire». Perciò non ci sarebbero basi su cui sollevare la questione di costituzionalità. Certo le zone d’ombra nell’ordinamento ci sono, ma «l’unico a poter andare a colmare quelle zona d’ombra è il legislatore».
Nell’udienza pubblica della Corte costituzionale chiamata a decidere sulla legittimità dell’articolo 579 del Codice penale, norma che punisce chi commette il reato di omicidio del consenziente, cioè chi attua la volontà altrui di procedere al suicidio anche quando la persona è malata, è il giorno delle argomentazioni della parti, con l’avvocato che rappresenta la ricorrente Libera (nome di fantasia) che sostiene l’esistenza di «palesi zone d’ombra» nella rivendicazione dell’autodeterminazione e l’Avvocatura dello Stato che sottolinea la «necessità» che sia un intervento del legislatore a far luce.
Un’udienza in cui hanno voluto anche far sentire la propria voce due testimoni d’eccezione: un ex commerciante tetraplegico e una donna di 55 anni affetta da sclerosi multipla. Loro, che la Corte ha ammesso in giudizio consentendo l’intervento ad opponendum dei loro legali, hanno ribadito la necessità di dare cura e assistenza a chi ne ha bisogno, di essere accompagnati alla morte senza dolore e non di essere aiutati a morire.
Davanti alla Consulta è arrivato il caso sollevato dal Tribunale di Firenze di una donna toscana, Libera appunto, affetta da sclerosi multipla progressiva, completamente paralizzata e mantenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, la quale ha ottenuto l’accesso al suicidio medicalmente assistito stabilito dalla sentenza 242 del 2019, ma non è fisicamente in grado di assumere autonomamente il farmaco letale e per questo chiede il coinvolgimento diretto di un medico (che si sarebbe reso disponibile) nella somministrazione del farmaco letale.
La Corte si è già espressa quattro volte negli ultimi sette anni sul tema del fine vita, in particolare sul suicidio assistito, ma ora per la prima volta il tema è quello dell’eutanasia, cioè del coinvolgimento di un terzo. «La rivendicazione della sfera di autodeterminazione da parte di Libera passa attraverso la rivendicazione del sacrificio del terzo, con la conseguenza che sarà in occasione del giudizio penale sulla condotta di quest’ultimo che sarà possibile promuovere un giudizio di legittimità costituzionale», ha spiegato l’avvocato Filomena Gallo, la segretaria nazionale dell’Associazione Coscioni che difende la donna, aggiungendo che solo «l’articolo 579 del Codice penale si frappone tra Libera e la sua autotederminazione. Non occorrono ulteriori parole per stigmatizzare quanto tutto ciò è inaccettabile.
Di qui la constatazione dell’esistenza di una palese zona d’ombra, che solo grazie al ricorso all’azione di accertamento è possibile in questo caso rimuovere». Il legale ha aggiunto l’ammissibilità, la fondatezza, l’urgenza e l’imprescindibilità della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 579 del Codice penale in base a quanto stabilito dagli articoli 2-3-13-32 della Carta. «Dalla vostra giurisprudenza costituzionale e dai vostri scritti è chiaro che la Costituzione è lo scudo della persona. Non è la sua gabbia. E la questione di legittimità costituzionale investe direttamente la coerenza interna dell’ordinamento», ha poi concluso Gallo.
Una argomentazione contestata in toto dall’Avvocatura della Stato come pure dai legali dei due pazienti ammessi dai giudici nel processo.
In particolare i legali dello Stato, pur riconoscendo la necessità di illuminare le zone d’ombra individuate nel dibattimento, ritengono essere il Parlamento il luogo giusto per farlo, attraverso cioè un intervento del legislatore «cui spetta il dovere di bilanciare le istanze sociali» non sollevando una questione di costituzionalità dal momento che «non c’è un diritto a morire». Non si può non riconoscere fino all’ultimissimo istante, ha sottolineato infatti l’avvocata Gianna Maria De Socio, «il diritto e il potere della persona di desistere dal proprio intento suicidario e di fare una scelta nel senso della vita. Quindi non può evidentemente che essere considerata futura e ipotetica la fattispecie di azioni rispetto la quale è stato chiesto al giudice di merito di pronunciarsi sulla questione di costituzionalità».
Inoltre secondo l’Avvocatura, «la necessità di un intervento del legislatore sembra ineludibile perché in effetti mancano dei vincoli sovranazionali e costituzionali che possano costituire un parametro per la decisione di codesta Corte. La Cedu ha escluso che possa esservi un vincolo sovranazionale; questa Corte in due ordinanze ha escluso la sussistenza del diritto a morire, riconoscendo al paziente solo la libertà di lasciarsi morire». Le fa eco l’avvocato dello Stato Ruggiero Di Martino, che pur rendendosi conto «delle situazioni difficilissime che vengono all’attenzione della Corte», ha precisato che «non si può arrivare a decisioni che possono ritorcersi contro le persone», visto che nella fattispecie posta da Libera «non vi è un contributo agevolativo, ma è un omicidio vero e proprio». Il rischio se si intraprende questa strada – ha proseguito – è che «il diritto all’autodeterminazione non tenga conto delle conseguenze, cioè di andare contro il diritto alla vita che è alla base dell’ordinamento».
Nel ribadire questo diritto e la necessità che venga sancita la legittimità dell’articolo 579, uno dei legali che difende i malati, Mario Esposito, ha così sottolineato «la singolarità che si decida sul diritto di autorizzare un terzo all’omicidio quando questo terzo è assente». Mentre l’altro legale dei pazienti ammessi al processo, Carmine Leotta, ha ricordato, come «l’apertura all’eutanasia rappresenterebbe l’esito di questo giudizio se la questione venisse dichiarata fondata, sgretolando il principio di intangibilità della vita, ma anche smontando il sistema giuridico che oggi ha il suo fulcro nella persona umana».

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