«Potrei chiedere la morte, invece dallo Stato esigo più cure»
Sono stati ammessi davanti alla Corte Costituzionale che deve decidere sull'eutanasia: sono due malati con i requisiti per il suicidio assistito. Ma che non vogliono la morte, «anche se la chiedes

Rivendicano il proprio diritto a vivere e chiedono che lo Stato mantenga la protezione della loro vita e della loro dignità, garantendola sempre, senza eccezioni. Vogliono affermarlo pubblicamente, anche di fronte alla Corte Costituzionale, proprio quando i giudici vengono nuovamente chiamati a decidere sul tema (ormai esplicito) dell’eutanasia.
La mattina dell'8 maggio si è tenuta, davanti alla Consulta, l’udienza sul giudizio di legittimità dell’articolo 579 del Codice penale che punisce l’omicidio del consenziente, escludendo oggi di fatto ogni forma di eutanasia. La questione, sollevata lo scorso aprile dal Tribunale di Firenze, riguarda la compatibilità costituzionale del divieto nei casi in cui un paziente, pur volendosi uccidere, si trovi nell’impossibilità di accedere al suicidio assistito in autonomia. Un’impossibilità che può derivare da limiti fisici, dalla mancanza di mezzi o dall’inaccessibilità di una modalità ritenuta più consona, pur rispettando le condizioni per il suicidio assistito indicate dalla sentenza della Corte 242/2019 (paziente con patologia irreversibile, con sofferenze insostenibili, pienamente capace di assumere decisioni libere e consapevoli e dipendente da trattamenti di sostegno vitale).
Convinti del fatto che, se l’istanza venisse accolta, dando il via libera all’eutanasia, si riconoscerebbe una minor tutela della vita dei più fragili, due malati – una signora di Roma e un signore di Perugia – hanno chiesto formalmente di intervenire in giudizio, assistiti dall’avvocato Mario Esposito, del foro di Roma, e dall’avvocato Carmelo Leotta, del foro di Torino. Già il 26 marzo la Corte aveva ammesso quattro malati, colpiti da patologie irreversibili, che avevano ribadito il loro “no” all’eliminazione del sostegno vitale tra i requisiti che escludono la punibilità del suicidio assistito, opponendosi così a un suo possibile ampliamento.
Il signor B. ha poco più di settant’anni e un passato da commerciante. Nel 2021 è rimasto vittima di un incidente gravissimo, che lo ha reso tetraplegico. Dopo circa sei mesi di ricovero ospedaliero, è tornato a casa, dove vive con la moglie in un piccolo alloggio ricavato al piano terreno. È lei a occuparsi quotidianamente di tutto, mentre i servizi socio-sanitari locali faticano a offrire un’assistenza adeguata. È sottoposto a trattamenti di sostegno vitale, totalmente dipendente dalle cure altrui e durante la notte necessita di aiuto anche per respirare. In un breve video che ha scelto di depositare agli atti del processo costituzionale, racconta che la sua vita è segnata dalla sofferenza, a tratti difficile da sopportare. Ma chiarisce anche di non voler cedere e di non avere intenzione di porre fine alla propria esistenza. Al contrario, vuole intervenire nel processo. «Se venisse introdotta l’eutanasia, anche io, viste le mie condizioni, potrei chiederla. Dire a chi sta male “ecco i mezzi per farla finita, anzi, addirittura per chiedere di essere ucciso”, significa suggerirgli che la morte possa essere una buona soluzione per lui. Io non permetto che il mio Stato mi dica questo». Il suo appello si concentra sulla necessità di sostengo e di un’assistenza continua, come vero esercizio di libertà: «Dateci più cure e state vicini alle nostre famiglie».
Maria (nome di fantasia), pugliese di nascita e romana di adozione, ha 55 anni. Laureata in Giurisprudenza, da quando aveva 22 anni è affetta da Sclerosi multipla e direttamente ad Avvenire parla della sua scelta: «Mi impegno in prima persona, anche davanti alla Corte costituzionale, perché ho pensato di poter contribuire a dare voce a chi non ha possibilità di esprimersi o di farsi sentire. Quando una mia amica, docente di diritto, mi ha parlato di questa possibilità ho accettato con convinzione. La gente non vuole morire, mi pare assurdo che qualcuno dica il contrario. La mia vita deve rimanere inviolabile da terze persone, anche se io richiedessi in un momento di disperazione di essere uccisa. Secondo questa logica pericolosa, tutti i malati dovrebbero morire. Oppure vogliamo definire malattie di serie A e malattie di serie B? Chi è tetraplegico è diverso da chi ha il diabete?».

In effetti, se fosse accolta dalla Corte Costituzionale la questione di legittimità e venisse consentita l’eutanasia, sarebbe violato – spiegano gli avvocati – il principio di inviolabilità della vita, consentendo ad alcuni di privare impunemente altri del bene fondamentale da cui dipendono tutti gli altri diritti. Sarebbe violato, poi, anche il diritto dei malati di essere eguali agli altri: lo Stato, «permettendo ai medici di sopprimere su richiesta la vita di chi è affetto da gravi patologie e sofferenze e impedendo lo stesso atto nei confronti dei sani, ammetterebbe che la vita dei malati vale meno di quella degli altri».
E allora da dove nascono queste richieste e tutta questa attenzione mediatica? Risponde Maria: «Come si dice, fa più rumore un albero che cade rispetto a una foresta che cresce. Fa più notizia, e non solo... Secondo me, le richieste di farla finita arrivano da persone lasciate sole, che non ricevono aiuto sufficiente. Io ho avuto la fortuna di aver incontrato le persone giuste, tra amici, sacerdoti, medici, e ovviamente mio marito. Ricordo ancora che la prima dottoressa che si era occupata di me mi aveva regalato due biglietti per un concerto, proprio per spronarmi a vivere pienamente la mia vita. È una cosa bella ma, in fondo, dovrebbe essere normale. Se incontriamo una persona sul cornicione del quinto piano la invitiamo a buttarsi o ci offriamo di aiutarla a risolvere i suoi problemi? Voler bene non significa aiutare una persona a morire ma andare a trovarla, tenerle compagnia, portarle un gelato... Sembrano stupidaggini, ma sono cose importantissime». Anche il linguaggio è importante: «A volte inorridisco. Si evocano termini come misericordia, libertà, dignità – conclude Maria – ma si tenta di far passare l’idea che esista una libertà di uccidersi. La dignità, quella vera, è nel poter continuare a vivere. Siamo nati per questo».
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