Cure palliative, un diritto dall’inizio della malattia

Fondazioni e associazioni attive nella diocesi di Bologna protagoniste di un seminario di studio su scelte di fine vita e aiuto al suicidio in ascolto di medici e giuristi. E di una realtà molto più complessa degli slogan
October 30, 2025
Cure palliative, un diritto dall’inizio della malattia
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Non lasciare mai nessuno solo e senza assistenza di fronte al dolore, sia fisico che psicologico, e alla morte: è questo l’elemento più importante per migliorare la qualità di vita dei malati e prevenire il suicidio assistito. Ed è la riflessione principale emersa dal seminario di studio «Il “fine vita” tra terapia del dolore e suicidio assistito» che si è tenuto il 25 ottobre a Bologna, alla Fondazione Lercaro, per iniziativa della Fondazione Ipsser (Istituto petroniano Studi sociali Emilia-Romagna), dell’Istituto culturale Veritatis Splendor e dell’associazione «Insieme per Cristina» aps. Il seminario, moderato dal giornalista di Avvenire Francesco Ognibene, ha affrontato i diversi aspetti del fine vita, da quello giuridico, sulle pronunce della Corte costituzionale e le iniziative legislative sul suicidio assistito, a quello etico, a quello, fondamentale, medico e psicologico, riguardo soprattutto alle cure palliative.
A proposito di queste ultime, Danila Valenti, direttrice dell’Unità operativa Rete delle Cure palliative dell’Ausl Bologna e Maria Caterina Pallotti, oncologa palliativista nella stessa Rete hanno sottolineato che le cure palliative non riguardano solo il periodo dell’immediato fine vita, né solo la terapia del dolore, pure fondamentale, ma intendono «coprire» gli aspetti fisici, psicologici, sociali e anche spirituali della malattia sin dalla diagnosi. Coinvolgendo quindi anche i cappellani ospedalieri, delle Case di cura e degli hospice, con lo scopo di «dare senso» alla malattia stessa. Pallotti ha anche sottolineato che tali cure coinvolgono necessariamente pure la famiglia, e che non sono importanti solo in oncologia, ma anche in diverse altre specialità mediche, come geriatria, pediatria, neurologia, cura della fibrosi polmonare.
Dal punto di vista giuridico, Giovanna Razzano, docente di Diritto costituzionale e pubblico all’Università La Sapienza di Roma e Paolo Cavana, docente di Diritto canonico ed ecclesiastico all’Università Lumsa sempre di Roma, hanno chiarito che l’accesso al suicidio assistito non è un diritto, non esiste cioè un «diritto alla morte»: la Costituzione garantisce invece il diritto alla vita, definito inviolabile. La Corte costituzionale, in diverse pronunce anche tra loro contraddittorie, ha però aperto un «varco» al suicidio assistito, affermando che in certi casi ed entro specifiche condizioni l’aiuto al suicidio non è punibile. Soprattutto, la Consulta ha incalzato il legislatore chiedendo che venga emanata una legge in proposito, di cui però non tutti vedono l’utilità, anche perché le leggi creano cultura, e c’è il serio rischio di «normalizzare» il suicidio assistito. «Ed è anche discutibile – ha specificato Razzano – che la Corte possa indicare il da farsi al Parlamento, e anche che possa entrare nell’ambito del Diritto penale, che sanziona l’aiuto al suicidio».
«Di fine vita aveva già parlato la Legge 219 del 2017 – ha spiegato Cavana – in cui si afferma che il paziente è sempre libero di rifiutare un trattamento sanitario, anche salvavita, ma non sono permessi trattamenti contrari alla legge, come l’istigazione e l’aiuto al suicidio. C’era già quindi una precisa indicazione, che poteva essere sufficiente: no all’accanimento terapeutico, come la Chiesa ha sempre affermato, sì invece all’accompagnamento alla fine della vita, attraverso la terapia del dolore, le cure palliative, a cui il paziente ha diritto, e anche la sedazione palliativa profonda, se c’è il consenso».

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