«Con le terapie epigenetiche possiamo frenare la corsa delle malattie»
Pier Mario Biava spiega le sue ricerche sulla progressione dei tumori (e non solo). «Indago l’interazione con l’ambiente. A partire dalla convinzione che l’uomo non sia frutto del caso»

Un nuovo paradigma scientifico che può integrare le conoscenze finora acquisite nel campo della biologia e della medicina ed essere foriero di nuovi sviluppi, contribuendo in particolare a potenziare le cure efficaci già in atto per i tumori e le malattie cronico-degenerative. In questo consistono i trattamenti biologico-informazionali messi a punto negli ultimi tempi alla base del nuovo filone di ricerca che va sotto il nome di “epigenetica”.
Una volta appurato che il materiale codificante è uguale in tutte le cellule di un organismo, durante lo sviluppo si presentano differenze nella sua espressione: i geni possono essere più o meno silenziati da fattori e meccanismi definiti “epigenetici” (dal greco epì “sopra” e gennetikòs “relativo all’eredità familiare”), quali la metilazione del Dna, le modificazioni degli istoni, i microRna. Vi è, cioè, un adattamento delle cellule alle diverse condizioni ambientali che quando sono sfavorevoli – ad esempio stili di vita scorretti, sostanze inquinanti ecc. – agiscono sull’epigenenoma causando le varie malattie, autoimmunità, invecchiamento precoce.
Ed è in questo ambito che si inserisce il lavoro pionieristico di Pier Mario Biava, inizialmente medico del lavoro presso l’Università di Trieste dove si è occupato di cancerogeni ambientali, in particolare dell’amianto, indagando sui casi di mesotelioma pleurico a esso correlati e contribuendo a sospenderne l’utilizzo nel porto e nei cantieri navali di Trieste e Monfalcone alla fine degli anni '80.

Le sue ricerche sono proseguite sulle uova embrionate di Zebrafish, un pesciolino tropicale che ha per il 96% le stesse proteine della specie umana. Durante l'organogenesi vide che qualcosa proteggeva l'embrione dai fattori cancerogeni testati, e l'intuizione fu quella che esistessero sostanze regolatrici in grado di correggere i danni indotti. Studiando questi fattori di differenziazione embrionali, fu pubblicata nel 1988 la prima ricerca su
Cancer Letter
in cui si supponeva la possibilità di far ritornare le cellule tumorali a un comportamento normale in quanto staminali mutate, bloccate in una fase di moltiplicazione compresa fra due stadi di differenziazione.
Professore, quale è stata la portata di questa intuizione iniziale sulla riprogrammazione delle cellule tumorali?
Abbiamo pensato che si potesse lavorare sulle cellule tumorali dandogli le istruzioni per procedere nel loro normale sviluppo, bypassando le mutazioni all’origine della malignità. Ci vollero quasi vent'anni per dare visibilità a queste osservazioni, finché Nature nel 2007 pubblicò un lavoro in cui veniva dimostrato come le cellule tumorali si comportano in maniera molto simile alle cellule staminali. Nelle cellule tumorali si attivano dei recettori che rispondono alle stesse proteine che agiscono sulle staminali embrionali per differenziarle nei vari tessuti. Emerse quindi una tesi molto interessante: una cellula tumorale è una cellula che torna verso il suo stato primitivo, allo stadio staminale, ma manca il micro-ambiente embrionale, dove sarebbero presenti tutte le sostanze che ne controllano e coordinano la crescita in modo fisiologico.
A quali risultati concreti ha portato questa tesi?
Da lì il passo per mettere a punto un trattamento basato sui fattori di differenziazione, la cosiddetta “terapia epigenetica del cancro”, è stato breve. Un lungo lavoro ha permesso di individuare l’esatta composizione di questi fattori in grado di inibire o rallentare la crescita di vari tipi di tumori umani. Sono oltre cento i lavori pubblicati in cui si dimostra prima a livello di laboratorio e poi a livello clinico questo effetto, oltre alla rigenerazione dei tessuti senza necessità di trapianto di staminali e il rallentamento della senescenza. Fra i primi dati clinici ottenuti, lo studio randomizzato pubblicato su Oncology Research condotto su 179 pazienti affetti da epatocarcinoma allo stadio intermedio avanzato: nel gruppo trattato è stato registrato il 19,8% di regressioni, 2,5% di regressioni totali e il 16% di stabilizzazione della malattia. Gli estratti embrionali riducono la proliferazione cellulare, migliorano l'apoptosi, la morte cellulare indotta, e inibiscono drasticamente l'invasività e la capacità di migrazione delle cellule tumorali. Gli oncologi clinici italiani hanno approvato l'utilizzo dei fattori in sinergia con gli altri strumenti tradizionali quali i chemioterapici e suggeriscono nuove ricerche.
E negli ambiti diversi dall'oncologia?
Abbiamo indagato la prevenzione e il trattamento di vari tipi di malattie cronico-degenerative come l’Alzheimer, il Parkinson, la sclerosi multipla. La somministrazione, ad esempio, dei fattori di differenziazione ha invertito la perdita dell'udito neurosensoriale considerata irreversibile nei 47 pazienti trattati, dimostrando che agiscono come un modulatore della senescenza nelle staminali mesenchimali umane isolate da molti tessuti adulti.
Perché parla di un cambiamento di paradigma scientifico?
I fattori di differenziazione delle cellule staminali costituiscono quello che possiamo definire il “codice epigenetico”, il codice alla base della vita e del suo sviluppo. Ho scritto insieme al maggior filosofo della scienza vivente Ervin Laszlo “Il Manifesto del Nuovo Paradigma in Medicina”, sottoscritto da numerosi scienziati. Le scoperte recenti hanno dimostrato che la vita può essere compresa solo in una visione complessa e sistemica, che riconosce che tutte le parti dei sistemi viventi sono in relazione tra loro per costruire quella che viene chiamata la “rete della vita”. A partire da questa base biologica, è necessario riconoscere la presenza all’origine della vita di un elemento che non è né materia né energia: questo elemento unificante è l’in-formazione, “ciò che dà forma” alla vita, comune a tutti i sistemi viventi e non viventi. La salute rappresenta quindi un equilibrio dinamico quando l’informazione scorre in modo corretto, mentre le malattie devono essere considerate come uno squilibrio di questo flusso. Ne segue che un organismo è molto più della somma delle sue parti e il contesto garantisce che le varie reazioni fisico-chimiche che si verificano non siano l’espressione di semplici eventi meccanici e di un determinismo cieco ma di una messa a punto sottile con l’ambiente. All’inizio era il Verbo... Non siamo qui per caso ma per questa “informazione intelligente” che ha dato origine alla vita e continua a dare senso alla nostra esistenza.
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