Avere anche un padre: perché è questo il vero “interesse del minore”
Qual è il diritto del soggetto più fragile nella fecondazione assistita? la stabilità affettiva in una coppia di donne-madri o non veder rimossa programmaticamente la figura maschile?
La recente decisione della Corte costituzionale sull’attribuzione dello status di genitore alla madre d’intenzione, che ha prestato il suo consenso alla fecondazione in provetta di un bambino nato dalla gravidanza della sua compagna, presenta una criticità ineludibile.
La categoria del cosiddetto status riguarda i diritti e i doveri nel rapporto genitore-figlio. Il ragionamento della Corte è apparentemente semplice: perché un bambino che nasce a seguito di un patto tra due donne non deve ricevere tutela e protezione da entrambe ma soltanto dalla madre naturale? Si tratta, in altri termini, secondo il ragionamento della Corte, di aggiungere, non di levare, diritti al bambino. Detta così, difficilmente si potrebbe essere contrari. Ma la situazione che crea la Corte va molto aldilà di una attribuzione di diritti al bambino: attribuisce anche diritti al genitore d’intenzione verso il figlio, come avviene appunto nella categoria degli status. Così il genitore sceglie l’indirizzo educativo del figlio, prende decisioni in tema di salute, ha il diritto di visita in caso di separazione. E il figlio un giorno avrà doveri, anche di sostegno economico, verso il genitore.
Non si tratta, dunque, di ampliare meri diritti patrimoniali del figlio verso quell’adulto che con un atto di volontà ha consentito alla generazione di un bambino, ma di qualcosa di più significativo e diverso. Con l’attribuzione dello status genitoriale alla madre d’intenzione, la donna entra pienamente nella vita del minore e, nel bene o nel male, ne condiziona l’intera esistenza. Esattamente come avviene nella generazione naturale di un figlio. Ma in quest’ultimo caso è la natura biologica che occasiona diritti e doveri verso la discendenza. E la biologia prevede due distinte figure generatrici, un maschio e una femmina. Tutto questo è totalmente indifferente agli occhi del figlio, il quale nessun consenso ha prestato alla rottura di questo ordine di cose? Potrebbe un giorno rivendicare pretese giuridiche anche patrimoniali verso l’intromissione nella sua sfera personalissima di una figura biologicamente estranea alla sua generazione?
Il tema non può ridursi ad alcune asserzioni utilizzate dalla Corte: «L’interesse del minore, per quanto centrale, non è un interesse “tiranno”, che debba sempre e comunque prevalere», in quanto «al pari di ogni interesse costituzionalmente rilevante, esso può essere oggetto di un bilanciamento in presenza di un interesse di pari rango».
In realtà l’interesse del soggetto più fragile non è mai – per definizione – un interesse tiranno. Si tratta di un interesse legato a una condizione esistenziale da tutelare sempre, proprio in ragione dell’incapacità di chi non può farlo direttamente. E giammai può essere messo in bilanciamento con interessi legati a desideri e atti di volontà. Si tratterebbe di un ribaltamento insidioso per la tutela che ogni ordinamento democratico deve apprestare prima di tutto alle persone più vulnerabili.
Il giusto richiamo della Corte alla responsabilità di chi, con il suo consenso, ha attivato una procedura di procreazione medicalmente assistita, esorbita in un orizzonte tutto adultocentrico e disvela un’altra intenzione della sentenza: non tanto e non solo riconoscere più diritti al bambino, ma assegnare anche una posizione giuridica forte nei confronti del bambino a un soggetto che ha legami affettivi con la madre. In altri termini la decisione della Corte finisce coll’andare ben aldilà di quanto si era proposta. L’obiettivo di attribuire più diritti patrimoniali al bambino si sarebbe potuto raggiungere con una sentenza “monito” idonea a indicare questa soluzione al legislatore. Ma forse la Corte ripone scarsa fiducia nella reattività del Parlamento a legiferare sulla questione. Certamente il legislatore, se volesse, potrebbe ancora fare in tempo a porre il tema dentro il perimetro normativo corretto, assecondando il giusto anelito – pur attuato oltre i confini descritti – della Corte costituzionale.
*Giurista, presidente nazionale Centro studi Scienza & Vita
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