Vite digitali e vocazioni: quando si dice «onlife»
La scorsa estate, mentre a Roma e nell’infosfera si preparava il Giubileo dei missionari digitali e degli influencer cattolici (28-29 luglio), due magazine ecclesiali statunitensi di impronta liberal hanno discusso alcune problematiche relative all’evangelizzazione tramite i social network. Su “America” ( bit.ly/428ZjdR ) Noah Banasiewicz, richiamando le teorie di Neil Postman sulle influenze reciproche tra gli esseri umani e i loro strumenti di comunicazione e in particolare quelle sui “televangelist”, afferma a proposito di coloro che chiama «influencer cattolici»: «Troppo spesso sembra che confondiamo la conversione di cuori e menti con l'acquisizione di like e follower». Non si tratta di un «atto d'accusa generale» verso i missionari digitali. «Credo davvero che questi individui siano sinceramente motivati dall'amore per Dio e dal vero desiderio di condividere la loro fede. Il mio scetticismo e la mia preoccupazione non stanno tanto in loro, ma negli strumenti che stanno usando, e ancora di più, nella conoscenza che ne hanno». Sul “National Catholic Reporter” ( bit.ly/3IjqtI1 ) Michael Sean Winters, riferendosi ripetutamente al pensiero di sant’Agostino, si dice preoccupato che nel digitale si realizzi una omologazione del messaggio evangelico: «La Chiesa deve essere presente nello spazio dei social media, così come deve esserlo ovunque e in ogni luogo. Ma occorre essere cauti. Se riduciamo il Vangelo a un semplice prodotto tra tanti in un panorama di social media orientato al consumo, non possiamo che fornire una contro-testimonianza al Vangelo». Il digitale e la vocazione al sacerdozio In parallelo a queste riflessioni registro due storie recenti in cui il digitale e la vocazione al sacerdozio si sono incontrate in forme sorprendenti, al punto da aver sollecitato l’attenzione dei media generalisti (con le inevitabili semplificazioni), oltre che di quelli specializzati. La prima storia ha per protagonista Pablo Garcia, 36 anni, modello e influencer spagnolo con 750mila follower sull’account Instagram @pablogarna. Ha superato i 3 milioni di visualizzazioni con il video del 31 agosto ( bit.ly/3VHqo3X ) in cui annuncia, con le dovute spiegazioni, di stare per entrare in seminario, lasciando – perlomeno provvisoriamente – la vita digitale. «Ascolta ciò che ti dice il cuore» ne è il suggestivo incipit. La seconda storia, di cui “Avvenire” ha già riferito l’esito ( bit.ly/3I2RejZ ) nella sospensione a divinis, è quella di don Leonardo Maria Pompei. 54 anni, della diocesi di Latina, prete dal 2004, ha affermato il 3 settembre nel corso di una diretta video (bit.ly/3VHm1WB, minuto 50) di volere «diventare un prete della tradizione, un prete tradizionalista», e di conseguenza di uscire «dalla comunione gerarchica con le attuali gerarchie della Chiesa cattolica». Ma non lascerà sicuramente l’apostolato sui social, i quali – facendo perno su YouTube – gli riservano 130mila follower. Il «peso» della popolarità su Internet A prescindere dalla simmetria che vede uno di questi due uomini avviarsi al sacerdozio e l’altro vivere, nel sacerdozio, una crisi tale da indurlo a uscire dalla comunione gerarchica con la Chiesa in cui è stato ordinato, le due vicende hanno in comune il fatto di una decisione cruciale non improvvisa ma maturata nel tempo, e accompagnata, in qualche modo, dalla popolarità raggiunta attraverso Internet, che difatti diventa il luogo in cui la decisione viene resa pubblica. Di più: il prete italiano, narrando di un travaglio interiore iniziato negli anni della formazione e mai acquietato, afferma che la possibilità di poter predicare, attraverso Internet, gli insegnamenti di quella che egli considera la Chiesa «di sempre» e non di quella «di oggi» è ciò che in questi anni gli ha dato più sollievo. Mentre il modello spagnolo, pur non potendo finora in alcun modo essere considerato un missionario digitale, alternava a foto e testi d’intonazione necessariamente “mondana” altri contenuti di taglio spirituale, confermati da diversi passaggi del suo annuncio del 31 agosto nonché dal motto dell’account: una citazione dal Vangelo di Luca. Parlando del mondo iperconnesso in cui viviamo, si usa spesso il neologismo “onlife” per descrivere «la dimensione vitale, relazionale, sociale e comunicativa, lavorativa ed economica, vista come frutto di una continua interazione tra la realtà materiale e analogica e la realtà virtuale e interattiva» (così il Dizionario Treccani). Fatico a immaginare, nell’ambito dell’infosfera ecclesiale, due storie che riflettano meglio tale espressione di queste di don Pompei e dell’influencer Garcia. © riproduzione riservata
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