Un club per “samaritanare” chi ha lo smartphone in testa

February 7, 2025
Dal primo giorno di febbraio ha aperto nell’infosfera ecclesiale spagnola il “Club dei Samaritani”. Sull’home page del sito (bit.ly/40OM3th) si definisce «una comunità per i comunicatori della Chiesa»; più esplicitamente nel sito stesso, sui social, negli inviti a iscriversi e nei primi articoli che ne parlano si qualifica come composto «da e per i responsabili della comunicazione istituzionale della Chiesa (congregazioni, movimenti, diocesi, parrocchie, università, scuole, ecc.)» e progettato per «accompagnare, formare e rafforzare coloro che hanno la missione di comunicare il Vangelo in un mondo complesso e polarizzato», come ben spiega il video predisposto allo scopo (bit.ly/3Q7CpNy). Il riferimento al magistero che papa Francesco ha rivolto agli operatori dei media è quasi trasparente: l’indicazione della parabola evangelica del “buon samaritano” come «anche una parabola del comunicatore» è infatti il motivo conduttore del primo messaggio per la Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali firmato da papa Francesco, nel 2014. Anche il logo scelto per questo “Club” è trasparente: mani colorate e avvolgenti sulla superficie di un cuore, che evocano la cura e l’accompagnamento. L’iscrizione è gratuita. Par di capire da queste presentazioni che ci si rivolga a due distinte categorie di comunicatori nella Chiesa: tanto quelli attivi per conto delle grandi e piccole istituzioni quanto quelli che evangelizzano in proprio, attraverso gli strumenti digitali, in forza del loro battesimo. Un curriculum da “testimone digitale” Protagonista del video di cui sopra nonché fondatore e promotore dei “Samaritani” è Gabriel López Santamaría, figura di cui vale la pena approfondire il profilo. Spagnolo, 48 anni, ha una formazione multidisciplinare comprendente teologia, filosofia, sociologia e marketing, conseguita tra Europa e America Latina. Inizialmente lavora nel settore bancario; poi sceglie di impegnarsi professionalmente nei mondi ecclesiali e nel 2016 fonda e dirige “Católicos en Red” (bit.ly/3WAqMiR), un’agenzia che offre servizi di marketing, comunicazione e fundraising alle organizzazioni cattoliche. Sul sito di “Vida Nueva”, lo scorso aprile (bit.ly/3CC8nOI), si poteva leggere un suo articolo, “La rivoluzione digitale nella comunicazione religiosa”, dedicato a illustrare, con riferimenti piuttosto tecnici, come l’IA può aiutare i responsabili della comunicazione di una congregazione. Dallo stesso 2016 e fino al 2024 lavora nella sezione spagnola del Movimento Laudato si’, la rete globale costituitasi sulla scia dell’enciclica papale dedicata alla cura della casa comune, dal 2020 come direttore della comunicazione. Sposato, un figlio, si definisce «francescano» e in quanto tale scrive un libretto dedicato a “Benedetto XVI, un Papa francescano” che arriva in libreria proprio nei giorni della rinuncia di papa Ratzinger al pontificato. L’agenzia “Católicos en Red” e l’esperienza maturata in essa da López Santamaría sta funzionando come base per il lancio del “Club dei Samaritani”. Tra tecnologie, cultura e Chiesa A confermare lo spettro largo dei potenziali soci del “Club” c’è il primo dei video-podcast mensili di «interviste a referenti del marketing e della comunicazione nella Chiesa». In esso, infatti, a dialogare per una quarantina di minuti con López Santamaría c’è il segretario del Dicastero vaticano per la comunicazione (DpC), monsignor Lucio Adrián Ruiz (bit.ly/414pHFq), il quale, come è noto, sta profondendo specifiche energie per accompagnare la pattuglia dei “missionari digitali”. Incorniciata da un paio di ricordi personali sul lavoro del prelato argentino nella comunicazione della Santa Sede, da Giovanni Paolo II a Francesco, tutta l’intervista è percorsa dalla descrizione di una dialettica tra la Chiesa popolo di Dio e la Chiesa istituzione. La prima, dice Ruiz, ha abbastanza rapidamente assimilato il cambiamento culturale veicolato dagli strumenti digitali; la seconda va più lenta perché la comprensione del fenomeno ha i suoi tempi. Nella stessa linea il segretario del DpC mostra la differenza tra la digitalizzazione della pastorale tradizionale, ovvero l’utilizzo dei nuovi strumenti entro le consuete attività della Chiesa, e la pastorale digitale, che comporta tempi, dinamiche, narrative... in una parola, un linguaggio proprio. L’una ha a che fare con strumenti da usare, l’altra con una cultura da abitare, da «padroneggiare» (in italiano nel testo), e dunque sulla quale essere formati. Perché «sempre più avremo davanti persone che, se non hanno lo smartphone in mano, ce l’hanno in testa». © riproduzione riservata

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