L’esperienza vissuta della ritualità digitale
Non è la prima volta che mi capita, su queste colonne, di valorizzare la presenza nell’infosfera ecclesiale di don Manuel Belli. È un presbitero di Bergamo, ha appena passato i quarant’anni, insegna, in diocesi è “vicario interparrocchiale”. Ha un canale YouTube dal titolo programmatico, “Scherzi da prete” (bit.ly/3SfS4ve), che ormai sfiora i 50mila iscritti e nel quale si presenta dicendo: «Principalmente leggo, ascolto e scrivo tante cose. Qualcosa dico anche. Un po’ di cose le dico sull’Internet...». Ci sono anche gli account su Instagram e su Facebook (pagina omonima e profilo personale). La sua comunicazione tocca “tutte” le corde dell’evangelizzazione online: catechesi, commenti alle letture della messa, riflessioni su temi di attualità ecclesiale. L’ultima volta che ho parlato di don Manuel Belli è stato lo scorso settembre (bit.ly/4dpwE8y), quando ho raccontato la sua decisione, meditata e da alcuni contestata, di offrire la possibilità di abbonarsi al canale YouTube, a costi decisamente abbordabili e senza assolutamente tradire lo spirito di gratuità dell’evangelizzazione. Ed è proprio un contenuto riservato agli abbonati, postato il 21 maggio, che ha di nuovo attratto la mia attenzione: si tratta della lezione dedicata alla figura dei “missionari digitali” che don Belli ha tenuto il 19 a Bergamo, davanti a oltre cento persone, nell’ambito di un ciclo diocesano di incontri di formazione: “Navigare nel continente digitale: opportunità, rischi, nuove frontiere” (bit.ly/3H1RiPV). I volti dei missionari digitali L’architettura del suo intervento (bit.ly/4kArj0x), che dura un’ora, comprende varie sezioni. La prima: cosa si intende, dalla pandemia in poi, per “missionario digitale” – un cattolico che, in Rete, cerca di parlare la lingua dei social e usarne le regole – e quale attenzione si è manifestata verso questa figura al Sinodo dei vescovi. La seconda: un excursus sul rapporto tra Chiesa e media e un focus sul passaggio al web 2.0 e poi all’Ia generativa, esemplificando come e perché, nell’interazione con le nuove tecnologie, «indietro non si torna». La terza: un’analisi di come si può stare nel web 2.0 da missionari, oltre l’istituzionalità della semplice informazione e condivisione, sottolineando l’importanza (e l’efficacia) del «metterci la faccia», e i relativi rischi: compiacere gli uni o gli altri, essere autoreferenziali, dimenticare che sui social si sta «dicendo la Chiesa». La quarta: sulla consapevolezza che i social sono diversi l’uno dall’altro e che ciascuno di essi va usato all’altezza delle sue potenzialità e utilizzando le tecnologie adeguate, anche se ciò comporta un investimento economico e un faticoso apprendimento. L’ultima: le ambiguità e i rischi di questa missione, perché sui social «un’omelia vale quanto un gattino» e le polarizzazioni sono remunerative per le piattaforme, ma non si deve diventare schiavi di queste dinamiche, pur conoscendole e tenendole conto. Il tutto scandito da esempi molto efficaci e aneddoti sul proprio vissuto digitale, presente e passato, che alleggeriscono l’ascolto e aiutano la comprensione. «Siamo dei cyborg anche quando preghiamo?» Proprio in uno di questi riferimenti personali di don Belli ho colto il tratto più originale e attraente della sua lezione. Nel passaggio dalla seconda alla terza parte, dopo aver spiegato in che senso ha ragione chi dice che oggi siamo già dei cyborg, si domanda: «Siamo dei cyborg anche quando preghiamo?». La sua risposta si impernia sul concetto di «ritualità digitale», della quale l’autore offre due esemplificazioni. Una riguarda l’esperienza che, da prete, sta facendo quando, utilizzando l’app della Cei, prega la Liturgia delle ore in auto, mentre si reca a scuola. Insistendo molto sulla differenza tra leggere ed ascoltare, e sulla qualità dell’ascolto offerto da questa applicazione (i tempi, i silenzi, le melodie degli inni e il sottofondo musicale dei salmi), afferma che il suo modo di pregare è cambiato e che quel viaggio in auto è diventato «il luogo dove si fa un piccolo rito». Analogamente don Belli racconta di aver sperimentato che anche il commento al Vangelo che egli posta quotidianamente su YouTube (qui bit.ly/3H8Y7zh quello di ieri) viene fruito dai suoi utenti in modo diverso rispetto alla lettura di un commentario cartaceo; anche in questo caso egli si rende conto di entrare nella quotidianità delle persone. Nascono una relazione, pur particolare e stereotipata, e un’interazione, che si nutrono delle immagini, del tono della voce, del ritmo del discorso, della mimica e della gestualità: «Si compie un piccolo rito». © riproduzione riservata
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