Siti sessisti e violenti verso le donne «Serve una sollevazione degli uomini»
Caro Avvenire,
ho apprezzato la risposta data alle due lettere pubblicate su Avvenire a proposito dei siti “Mia moglie” e “Phica.net”. Sono rimasta però stupita dal titolo che invoca una “sollevazione femminile” e dalla conclusione in cui si auspica che la componente femminile del mondo cattolico faccia sentire maggiormente la propria voce. La “sollevazione femminile”, almeno nel mondo occidentale, è in atto almeno da un paio di secoli e ha prodotto risultati assai significativi. E anche le donne cattoliche sono state e sono protagoniste, ancorché spesso ignorate o silenziate, di questa “sollevazione”. Le sue colleghe di Avvenire, del resto, danno continuamente prova di essere molto attive in questo impegno estenuante. Ma non si può fare l’errore di concentrare l’attenzione su ciò che le donne fanno o non fanno perché, come del resto mi pare emerga dalla parte centrale della sua risposta, il vero problema sono gli uomini. Ciò di cui avremmo un gran bisogno allora è una “sollevazione maschile” che esprima pena e indignazione di fronte ai tanti uomini che si abbruttiscono iscrivendosi ai siti di cui sopra. Ci sono uomini che minimizzano sorridendo sotto i baffi, altri che disapprovano, ma come un mantra, ripetono: «E cosa c’entro io? Io rispetto la mia dignità e anche quella delle donne!». Bene, ma non basta. Sono necessarie una nuova coscienza e una militanza maschile volte alla critica radicale dei modelli patriarcali e violenti e alla educazione e ri-educazione dei maschi che non sono consapevoli della gravità di ciò che accade. Tutti, e sottolineo “tutti”, gli uomini devono sentire su di sé questa responsabilità nei confronti dei loro fratelli.
Carla Mantelli
Parma
Caro Avvenire,
sono un’insegnante di scuola media di Roma, nonché vostra affezionata lettrice. Scrivo a proposito del fenomeno dei gruppi Facebook e dei siti internet nati a danno di tante inconsapevoli donne. Mi ha molto colpito il contributo di un altro lettore dell’Avvenire, che si chiedeva se non fosse il caso di concludere i vostri articoli al riguardo con un invito al perdono, “per evitare il disfacimento delle famiglie”. Innanzitutto, credo che non si possa chiedere alle donne di perdonare un reato di cui sono vittime. Altrimenti, si rischia di declassare a semplice “bravata” o “scherzo” un atto criminale, ancora più odioso perché perpetrato da quella che dovrebbe essere la persona più cara, come un marito o un compagno. Sono finiti i tempi del “matrimonio riparatore” e delle case di tolleranza, quando alle donne si chiedeva di perdonare (e sposare) il loro stupratore o il marito che la sera andava al lupanare. Io mi auguro che quelle donne trovino la forza di denunciare i mariti e di allontanarsi quanto prima, per la loro sicurezza e soprattutto per quella delle figlie. Mi auguro anche che, qualora vengano individuati i padri che hanno pubblicato le foto delle figlie minorenni, a questi venga immediatamente tolta la responsabilità genitoriale e venga disposto nei loro confronti un allontanamento a tutela dei minori. Vorrei chiudere anche con una nota di sentito ringraziamento alla redazione dell’Avvenire per la scelta - coraggiosa e controtendenza - di evitare accuratamente di riportare i ripugnanti contenuti presenti su questi angoli oscuri del web. Pubblicizzare, come fanno altri media, un linguaggio di questo tipo significa contribuire proprio al fenomeno che si intende denunciare, ovvero alla riduzione della donna a mero strumento di soddisfazione sessuale. Grazie per aver compiuto una importante scelta educativa: il linguaggio è importante, la violenza passa anche da lì.
Francesca Romana Valente
Roma
Caro Avvenire,
intervengo in merito alla questione dei siti sessisti, volgari e violenti, avendo letto gli interventi di Massimo Calvi e Andrea Lavazza. Scrivo per aggiungere una riflessione ai punti già toccati, che trovo per la maggior parte condivisibili e appropriati, ma che scivolano, a mio parere, facilmente (e spero non inevitabilmente) in errori non condivisibili. Nella domanda di Calvi («quale messaggio veicola l’esserne talvolta complici al femminile?») rilevo una stretta somiglianza con la famosa espressione «se l’è cercata», con la quale da tempo si insiste sull’abbigliamento delle donne quando vengono violentate, sottovalutando così la responsabilità maschile, svalutando il maschile collocandolo nell’incapacità di comportarsi diversamente, e descrivendo una complicità femminile in qualche modo voluta. Forse con un po’ di empatia tutti i maschi potrebbero percepire il dolore e la rabbia che frasi di questo tipo suscitano in noi donne. Mi chiedo: ma fino a quando i maschi troveranno giustificazioni alle responsabilità di personali comportamenti inammissibili? Perché non invitare i propri colleghi maschi a valori più alti, e perché non invitarli a uscire dall’infantilismo che li porta sempre a chiedere aiuto alle donne, anche solo invitandole a vestirsi diversamente perché ci sono uomini (molti) che non sanno gestire i propri appetiti? Rispetto all’invito di Lavazza, dico che mi sarei aspettata e mi aspetto invece una sollevazione maschile (non femminile), una presa di posizione collettiva e condivisa da parte di uomini onesti, rispettosi, responsabili, gioiosi, capaci di relazioni amorose belle, che davvero vedono in una donna la donna che è e non il corpo, esattamente come quando incontrando un uomo vediamo un uomo e non il suo corpo. Uomini insomma, in una parola, uomini. Sì, mi aspetto una sollevazione di uomini che si distinguono da gesti e parole espressi e messi in atto da chi non può essere definito uomo. Anche di questi uomini ce ne sono molti, moltissimi. Perché non vi fate sentire? Mi aspetto questo: un “me too” maschile. Era accaduto qualcosa del genere dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin. Perché lasciar cadere quel seme?
Rossana Ragonese
Arezzo
ho apprezzato la risposta data alle due lettere pubblicate su Avvenire a proposito dei siti “Mia moglie” e “Phica.net”. Sono rimasta però stupita dal titolo che invoca una “sollevazione femminile” e dalla conclusione in cui si auspica che la componente femminile del mondo cattolico faccia sentire maggiormente la propria voce. La “sollevazione femminile”, almeno nel mondo occidentale, è in atto almeno da un paio di secoli e ha prodotto risultati assai significativi. E anche le donne cattoliche sono state e sono protagoniste, ancorché spesso ignorate o silenziate, di questa “sollevazione”. Le sue colleghe di Avvenire, del resto, danno continuamente prova di essere molto attive in questo impegno estenuante. Ma non si può fare l’errore di concentrare l’attenzione su ciò che le donne fanno o non fanno perché, come del resto mi pare emerga dalla parte centrale della sua risposta, il vero problema sono gli uomini. Ciò di cui avremmo un gran bisogno allora è una “sollevazione maschile” che esprima pena e indignazione di fronte ai tanti uomini che si abbruttiscono iscrivendosi ai siti di cui sopra. Ci sono uomini che minimizzano sorridendo sotto i baffi, altri che disapprovano, ma come un mantra, ripetono: «E cosa c’entro io? Io rispetto la mia dignità e anche quella delle donne!». Bene, ma non basta. Sono necessarie una nuova coscienza e una militanza maschile volte alla critica radicale dei modelli patriarcali e violenti e alla educazione e ri-educazione dei maschi che non sono consapevoli della gravità di ciò che accade. Tutti, e sottolineo “tutti”, gli uomini devono sentire su di sé questa responsabilità nei confronti dei loro fratelli.
Carla Mantelli
Parma
Caro Avvenire,
sono un’insegnante di scuola media di Roma, nonché vostra affezionata lettrice. Scrivo a proposito del fenomeno dei gruppi Facebook e dei siti internet nati a danno di tante inconsapevoli donne. Mi ha molto colpito il contributo di un altro lettore dell’Avvenire, che si chiedeva se non fosse il caso di concludere i vostri articoli al riguardo con un invito al perdono, “per evitare il disfacimento delle famiglie”. Innanzitutto, credo che non si possa chiedere alle donne di perdonare un reato di cui sono vittime. Altrimenti, si rischia di declassare a semplice “bravata” o “scherzo” un atto criminale, ancora più odioso perché perpetrato da quella che dovrebbe essere la persona più cara, come un marito o un compagno. Sono finiti i tempi del “matrimonio riparatore” e delle case di tolleranza, quando alle donne si chiedeva di perdonare (e sposare) il loro stupratore o il marito che la sera andava al lupanare. Io mi auguro che quelle donne trovino la forza di denunciare i mariti e di allontanarsi quanto prima, per la loro sicurezza e soprattutto per quella delle figlie. Mi auguro anche che, qualora vengano individuati i padri che hanno pubblicato le foto delle figlie minorenni, a questi venga immediatamente tolta la responsabilità genitoriale e venga disposto nei loro confronti un allontanamento a tutela dei minori. Vorrei chiudere anche con una nota di sentito ringraziamento alla redazione dell’Avvenire per la scelta - coraggiosa e controtendenza - di evitare accuratamente di riportare i ripugnanti contenuti presenti su questi angoli oscuri del web. Pubblicizzare, come fanno altri media, un linguaggio di questo tipo significa contribuire proprio al fenomeno che si intende denunciare, ovvero alla riduzione della donna a mero strumento di soddisfazione sessuale. Grazie per aver compiuto una importante scelta educativa: il linguaggio è importante, la violenza passa anche da lì.
Francesca Romana Valente
Roma
Caro Avvenire,
intervengo in merito alla questione dei siti sessisti, volgari e violenti, avendo letto gli interventi di Massimo Calvi e Andrea Lavazza. Scrivo per aggiungere una riflessione ai punti già toccati, che trovo per la maggior parte condivisibili e appropriati, ma che scivolano, a mio parere, facilmente (e spero non inevitabilmente) in errori non condivisibili. Nella domanda di Calvi («quale messaggio veicola l’esserne talvolta complici al femminile?») rilevo una stretta somiglianza con la famosa espressione «se l’è cercata», con la quale da tempo si insiste sull’abbigliamento delle donne quando vengono violentate, sottovalutando così la responsabilità maschile, svalutando il maschile collocandolo nell’incapacità di comportarsi diversamente, e descrivendo una complicità femminile in qualche modo voluta. Forse con un po’ di empatia tutti i maschi potrebbero percepire il dolore e la rabbia che frasi di questo tipo suscitano in noi donne. Mi chiedo: ma fino a quando i maschi troveranno giustificazioni alle responsabilità di personali comportamenti inammissibili? Perché non invitare i propri colleghi maschi a valori più alti, e perché non invitarli a uscire dall’infantilismo che li porta sempre a chiedere aiuto alle donne, anche solo invitandole a vestirsi diversamente perché ci sono uomini (molti) che non sanno gestire i propri appetiti? Rispetto all’invito di Lavazza, dico che mi sarei aspettata e mi aspetto invece una sollevazione maschile (non femminile), una presa di posizione collettiva e condivisa da parte di uomini onesti, rispettosi, responsabili, gioiosi, capaci di relazioni amorose belle, che davvero vedono in una donna la donna che è e non il corpo, esattamente come quando incontrando un uomo vediamo un uomo e non il suo corpo. Uomini insomma, in una parola, uomini. Sì, mi aspetto una sollevazione di uomini che si distinguono da gesti e parole espressi e messi in atto da chi non può essere definito uomo. Anche di questi uomini ce ne sono molti, moltissimi. Perché non vi fate sentire? Mi aspetto questo: un “me too” maschile. Era accaduto qualcosa del genere dopo l’omicidio di Giulia Cecchettin. Perché lasciar cadere quel seme?
Rossana Ragonese
Arezzo
Care lettrici, sono lieto di dare spazio alle vostre riflessioni: per la loro importanza, grazie all’aiuto dei colleghi che con sapienza curano la sezione Idee di Avvenire, oggi abbiamo riservato alla rubrica una collocazione speciale. L’invito che ho rivolto martedì 9 settembre alla componente femminile, perché si facesse sentire, era frutto di una constatazione che avevo già espresso in passato circa la netta prevalenza di lettere inviate da uomini. Non voleva essere una facile provocazione, né ignoro, cara dottoressa Mantelli, le lotte e l’impegno instancabile che da secoli le donne, certo comprese le donne cattoliche, profondono per il riconoscimento della loro dignità e il superamento di ogni discriminazione.Lei è teologa e insegnante, più di me ha titoli per parlare di ciò che l’emergere dei siti web sessisti ci ha rivelato. Lo stesso vale per le sue colleghe di cattedra Francesca Romana Valente e Rossana Ragonese. Mi colpisce che tre voci dal mondo della scuola e della consulenza abbiano risposto per completare all’unisono l’analisi proposta. Quella che serve, dite, non è tanto la “sollevazione” fatta di protesta e indignazione, piuttosto la “conversione” di quei maschi che continuano a essere prevaricatori, insieme alla “sollevazione” di tutti gli altri che, pur non coinvolti, tacciono e non fanno nulla per cambiare le cose. Difficile non essere d’accordo in linea di principio. Resta la domanda sul come avviare questo processo.Tutte voi siete in una posizione e in un ruolo che permette di comprendere le dinamiche relazionali dei giovani e delle loro famiglie, ma anche di provare a incidere su di esse. Questo riporta anche alla domanda di Massimo Calvi che non era – permettetemi: mi sembra ovvio – tesa a colpevolizzare alcune donne, bensì a chiedersi quali siano le dinamiche per cui residui di patriarcato continuano a persistere anche in presenza di una innegabile emancipazione femminile. Tra l’altro un certo femminismo – che qualcuno chiama woke – potrebbe accusarci di indebita “appropriazione”. Due uomini che scrivono commenti su queste materie, pur biasimando il maschilismo tossico, ripropongono la struttura di potere consolidata (vi ringrazio di non averlo rilevato). In realtà, come giustamente sottolineato, le giornaliste di Avvenire mostrano tutti i giorni che la subordinazione è stata per fortuna superata. Una discussione, insomma, che non nasce qui e qui non finirà, può tuttavia essere alimentata utilmente anche su queste colonne. Proviamo insieme a tenere alta l’attenzione e a convincere gli uomini che “Mia moglie” è un’aberrazione meritevole di denuncia e semmai di perdono solo dopo un sincero pentimento. Condividiamo idee ed esperienze per portare esempi o insegnamenti e provare ad allargare sempre di più la cerchia del rispetto e della considerazione per ogni persona. Soprattutto, cari uomini, è ora di farvi sentire. Non per uno sterile autodafé, ma per individuare e superare insieme una mentalità distorta che non è né umana né cristiana.
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