Siti che offendono tutte le donne: serve una sollevazione femminile

September 8, 2025
Caro Avvenire, vorrei esprimere un mio pensiero critico in merito a un articolo (di parecchi giorni fa) inerente alla chiusura del gruppo social “mia moglie”. A scanso di equivoci, reputo una cosa disgustosa quanto avveniva su quella pagina. La critica consiste nel fatto che ho rilevato una mancanza di carità. Dato che si parla di famiglia, si doveva esortare infine al perdono, per evitare il disfacimento della famiglia stessa.
Gabriele PedrelliChiari (BS)
Caro Avvenire, credo che Internet sia un gran marciume dove il 90% dei contenuti è illegale, criminale, o amorale. È uno “spazio” nato per essere libero e senza controlli, che si è espanso al punto che ormai è difficile poterlo ripulire davvero. Vorrei far provare al mondo una chiusura di tutti i siti non istituzionali o perfettamente sicuri: sarebbe l’unica punizione per chi partecipa al grande gioco dell’esibizione a tutti i costi.
Manuel Fantini
Cari lettori, riprendo con grande piacere il dialogo con voi, delegato dal direttore Marco Girardo. Mi sono mancate le vostre voci e il confronto aperto, sempre necessario ed educativo in un contesto nel quale tutti parlano ma pochi ascoltano. L’estate ci ha consegnato, purtroppo, avvenimenti sempre più tragici nel mondo e tristi vicende in Italia, una delle quali è oggetto dei due messaggi di oggi. Lascio alle amiche e agli amici di Avvenire giudicare in autonomia, alla luce di ciò che hanno scritto i signori Pedrelli e Fantini, quanta strada dobbiamo ancora compiere verso un cambio di mentalità nelle relazioni fra donne e uomini. Personalmente, un poco di sconforto devo confessarlo. Ma stiamo ai fatti.
La pagina “mia moglie”, dove venivano caricate immagini intime di donne a loro insaputa e poi commentate in modo osceno, è stata denunciata da alcune vittime. Possibile che tra i 32mila utenti unici nessun uomo, finito per caso o per indicazione di qualche conoscente su quel gruppo Facebook, abbia avuto una sensazione di rigetto e sentito il bisogno di segnalare quello che lì avveniva? Le dimensioni del sito “phica.eu” (un nome che avrebbe dovuto essere repulsivo e non, ahinoi, attraente) erano spaventose: 700mila iscritti, in prevalenza italiani impegnati a diffondere e guardare fotografie e filmati personali di donne, rubati o estrapolati da contesti diversi. Con un calcolo approssimativo, un maschio adulto su 50 ha frequentato, non certo per errore, quella piattaforma. Certo, è più grave molestare una donna in treno che postare una foto sul web (sebbene l’effetto moltiplicatore possa risultare devastante: non dimentichiamo i casi di suicidio). Anche chi ingrossa le file dei guardoni manca di rispetto, danneggiando soprattutto sé stesso. Contribuire con le proprie visite al “successo” di un sito, inoltre, alimenta concretamente la spirale negativa.È solo colpa di Internet, come suggerisce il signor Fantini? Faccio fatica a crederlo, anche se possiamo ricordare che l’antesignano di Facebook, Facemash, era un sito che proponeva di valutare l’avvenenza delle studentesse di Harvard con fotografie sottratte dagli archivi dell’università. Francesco Piccolo, nel suo discusso saggio autobiografico "L’animale che mi porto dentro" (Einaudi, 2018), propone un’idea di maschilismo strutturale che va ben oltre lo strumento digitale. Quando un uomo incontra una donna – dice tra l’altro, in sintesi –, la prima cosa che vede non è lei, ma il suo corpo. È come se fosse un automatismo, uno sguardo che precede il pensiero. Non è per tutti così, ovvio, e il web con la sua facilità e la sua pervasività contribuisce sicuramente ad amplificare certi fenomeni. Ma quello sguardo, quanto mai pertinente nei casi che stiamo discutendo, ha un ruolo chiave. Prima di oscurare la Rete, dovremmo modificare il modo di orientare i nostri occhi. È vero anche, come ricorda il signor Pedrelli, che Gesù perdona l’adultera: il Maestro ci dice tuttavia che, se il nostro occhio dà occasione di scandalo, è meglio cavarcelo piuttosto che finire nella Geenna. Allora, ha senso provare ad affrontare con decisione le grandi questioni educative e culturali che, malgrado i progressi compiuti, rimangono davanti a noi. Puntare ad avere una società composta esclusivamente da santi è un obiettivo sbagliato. Eppure, non possiamo rassegnarci alla realtà che è emersa in queste settimane. Soprattutto, dopo la fiammata di indignazione, non si faccia calare il silenzio e passare nuovamente messaggi di segno contrario (come minimizzare o ricordare con un sorriso lo sfruttamento di ragazze e l’esercizio di potere maschile da parte di un personaggio appena scomparso). Serve una riflessione comune in cui, mi sia consentito, la componente femminile del mondo cattolico dovrebbe fare sentire maggiormente la propria voce. Volentieri avrei pubblicato la lettera di una donna su questo tema. Ma fino a ieri non ce n’erano.

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