“Invasi” da Halloween? Sì, vero Ma impariamo dalla “sconfitta”

Desidero manifestare una mia perplessità. Dal Tg1 di sabato 21 ottobre apprendo che Halloween è diventata una data ufficiale del calendario, tanto da dire che...
October 30, 2023
Caro Avvenire,
desidero manifestare una mia perplessità. Dal Tg1 di sabato 21 ottobre apprendo che Halloween è diventata una data ufficiale del calendario, tanto da dire che «il brutto tempo ci accompagnerà fino ad Halloween ». Questa parola strana diventa il riferimento che sostituisce le ricorrenze che da sempre segnano l’inizio di novembre, Tutti i Santi e la Commemorazione dei defunti. Non è forse il segno di una progressiva perdita di identità? O di un tentativo di modificare la nostra identità?
Antonio Incani, Roma

Quello di contrastare la diffusione di Halloween anche in Italia, caro Incani, è stato uno sforzo di parte del mondo cattolico che negli anni scorsi non ha avuto esito positivo. Lo dobbiamo riconoscere.
La storia di questa festa o, meglio, di alcune pratiche che per qualcuno segnano la giornata del 31 ottobre è controversa. Lo può notare dalla pagina dedicata al tema da Wikipedia (una fonte comune di informazione, spesso ottima a livello introduttivo): all’inizio sono evidenziate le criticità della ricostruzione offerta, che quindi non va presa per oro colato.

Un errore comune, comunque, è quello di intenderla come una “moda americana” che ha colonizzato il nostro immaginario, con tocchi gotici e gratuiti brividi di paura, a scapito della celebrazione cristiana di Ognissanti.
In realtà, le origini sono irlandesi e scozzesi, poi transitate con le migrazioni dall’Europa agli Stati Uniti e quindi rifluite nel Vecchio Continente grazie all’abile rivestimento ludico-commerciale della grande macchina comunicativa degli Usa. Quando parliamo di “soft power”, la capacità di incidere con le idee e non con la forza, ci
riferiamo proprio a questo. D’altra parte, intagliare zucche o chiedere dolcetti (pare che nell’Ottocento lo facessero anche i sacerdoti italiani di alcune regioni) non è una deriva pagana peggiore di molte altre che abbiamo adottato con meno scandalo e maggiori conseguenze negative. Dovremmo forse cogliere l’occasione per fare qualche sforzo in più nella comprensione dei fattori che propiziano il successo di certe tendenze culturali. Per esempio, alcuni ministri dell’attuale governo hanno suggerito di reintrodurre termini e usanze ritenute tipiche della nostra storia. Ma come farlo, per decreto? È un modo che non funziona, a meno di invocare imposizioni illiberali.
Ricordare le tradizioni non è sbagliato, potrà certo conquistare qualche cuore. Ma in un mondo plurale vedremo inevitabilmente fianco a fianco puristi dell’idioma di Dante e anglofili, fan di Halloween e persone fedeli ai riti religiosi.
La buona concorrenza, in ogni caso, resta il sale della società. Se saremo un convincente esempio di adesione a feste ricche di contenuto, potremo ancora riempire di saggezza le “zucche vuote” che sembrano oggi prevalere.

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