I "clienti invisibili" per mettere alla prova i lavoratori
Il “mystery shopping” è l’invio di persone che fingono di essere normali acquirenti per valutare i dipendenti. Pratica importata dall'estero, si sta diffondendo soprattutto nella grande distribuzione. Ma è corretta?

Caro Avvenire,
da cittadino e da uomo che conosce bene il valore del lavoro, non posso restare indifferente davanti a ciò che accade in certe aziende, dove si ricorre al metodo del “cliente invisibile” per controllare i dipendenti. Una pratica che trasforma la quotidianità in un clima di sospetto, più vicino allo spionaggio che a una gestione corretta del personale. Si arriva perfino a nascondere articoli tra la spesa per verificare se il cassiere li noti. E se non se ne accorge? Scatta il licenziamento in tronco, come se chi lavora alla cassa dovesse essere un investigatore addestrato invece di un semplice lavoratore che svolge il proprio dovere. Una trappola costruita ad arte che nulla ha a che vedere con la professionalità. È una deriva pericolosa che genera ansia, paura e sfiducia. Il lavoro è rispetto, relazione, responsabilità reciproca. Non può diventare una caccia all’errore.
Francesco Vitale
Catania
da cittadino e da uomo che conosce bene il valore del lavoro, non posso restare indifferente davanti a ciò che accade in certe aziende, dove si ricorre al metodo del “cliente invisibile” per controllare i dipendenti. Una pratica che trasforma la quotidianità in un clima di sospetto, più vicino allo spionaggio che a una gestione corretta del personale. Si arriva perfino a nascondere articoli tra la spesa per verificare se il cassiere li noti. E se non se ne accorge? Scatta il licenziamento in tronco, come se chi lavora alla cassa dovesse essere un investigatore addestrato invece di un semplice lavoratore che svolge il proprio dovere. Una trappola costruita ad arte che nulla ha a che vedere con la professionalità. È una deriva pericolosa che genera ansia, paura e sfiducia. Il lavoro è rispetto, relazione, responsabilità reciproca. Non può diventare una caccia all’errore.
Francesco Vitale
Catania
Caro Vitale,
l’episodio a cui lei si riferisce è accaduto in Toscana. Secondo le cronache locali, nel punto vendita “Porta Siena” del gruppo Pam/Pam Panorama, un cassiere di 62 anni è stato licenziato in tronco dopo un controllo con il cosiddetto cliente invisibile, che aveva nascosto alcuni articoli tra la merce da acquistare (lacci per capelli tra casse di birra) per verificare se l’addetto li mettesse in pagamento o li segnalasse. La vicenda è aperta e avrà strascichi giudiziari di cui vedremo gli esiti. I sindacati hanno reagito imputando all’azienda un accanimento contro un lavoratore “anziano” e attivo nella difesa dei colleghi. Non ho elementi ulteriori per giudicare il caso specifico. Possiamo però fare qualche considerazione più generale.
l’episodio a cui lei si riferisce è accaduto in Toscana. Secondo le cronache locali, nel punto vendita “Porta Siena” del gruppo Pam/Pam Panorama, un cassiere di 62 anni è stato licenziato in tronco dopo un controllo con il cosiddetto cliente invisibile, che aveva nascosto alcuni articoli tra la merce da acquistare (lacci per capelli tra casse di birra) per verificare se l’addetto li mettesse in pagamento o li segnalasse. La vicenda è aperta e avrà strascichi giudiziari di cui vedremo gli esiti. I sindacati hanno reagito imputando all’azienda un accanimento contro un lavoratore “anziano” e attivo nella difesa dei colleghi. Non ho elementi ulteriori per giudicare il caso specifico. Possiamo però fare qualche considerazione più generale.
Il “mystery shopping” – l’invio di persone che fingono di essere normali acquirenti per valutare vari aspetti del servizio, inclusi i comportamenti dei dipendenti – è una pratica importata dall’estero (come dice il nome inglese) e utilizzata nella grande distribuzione anche in Italia. Per farsi un’idea, ma non è la stessa cosa, si può pensare al programma tv di Rai2 “Boss in incognito”, dove il proprietario si traveste da nuovo assunto per osservare le dinamiche aziendali. Nel docu-reality, le storie sono però a lieto fine, perché il “capo” infiltrato tra i suoi collaboratori a loro insaputa (comunque poi informati e liberi di accettare la messa in onda) scopre difficoltà reali e qualità del gruppo, non eventuali infedeltà.
Di primo acchito, il metodo può sembrarci subdolo e ingiusto, come lei sottolinea, caro Vitale. Dipende, mi pare, dalle circostanze. Renderlo sistematico è un modo per sorvegliare e tenere sotto pressione chi svolge una mansione aziendale che lo stesso Statuto dei lavoratori non dovrebbe consentire. La giurisprudenza in materia permette infatti controlli difensivi (o investigativi) per tutelare il patrimonio aziendale in presenza di un fondato sospetto, ma non controlli generali o diretti sullo svolgimento dei propri compiti contrattuali. Parrebbe quindi legittimo l’utilizzo di un “cliente invisibile” (o anche di agenzie investigative) solo laddove si hanno prove di comportamenti illeciti (ammanchi di cassa, frodi, assenteismo) o ragioni valide per ipotizzare condotte irregolari o dannose per i beni utilizzati.
Insomma, caro Vitale, non si possono semplicemente “mettere alla prova” tutti i lavoratori in maniera occulta (così come non li si può spiare con telecamere), soprattutto se la sanzione, come il licenziamento nel caso toscano, appare sproporzionata rispetto al presunto errore contestato. Bilanciare il diritto d’impresa (compresa la salvaguardia del patrimonio aziendale) e la tutela dei lavoratori (rispettandone dignità e riservatezza con corrette procedure) è diventato forse oggi più difficile anche a motivo delle nuove tecnologie, dell’automazione e dei sistemi di monitoraggio più pervasivi.
Mi viene da dire che, di fronte a grandi aziende blasonate che sfruttano indirettamente il lavoro tramite catene di subappalti in cui l’ultimo anello vede paghe da fame, orari senza limiti e condizioni deplorevoli, servirebbero “clienti invisibili” per controllare le scelte degli amministratori delegati, e non le figure più deboli delle catene produttive o dei servizi. Senza ovviamente dimenticare che comportamenti scorretti o disonesti accadono a ogni livello. Ricordo come particolarmente fastidiosi, tra i tanti, gli episodi di saccheggio delle valigie da parte di operatori aeroportuali, oppure le finte malattie di funzionari pubblici poi rintracciati su campi sportivi o amene spiagge. Per questo, caro Vitale, servono regole chiare e sensate, fatte rispettare in modo efficace ma non punitivo. E, soprattutto, un supplemento di etica del lavoro per molti imprenditori e loro collaboratori di qualunque grado.
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