«Giusta o non giusta, venga la pace» È necessaria. Ma a quale prezzo?

May 22, 2025
Caro Avvenire, sono passati oltre tre anni dall’inizio della guerra russo-ucraina e si sente ancora parlare di pace giusta, con il risultato che non si conclude nulla. Siamo certi che sia giusto invocare una pace giusta e non semplicemente e chiaramente la pace? Forse che Gesù ci ha amati di un amore “giusto”? O perché eravamo “giusti”?
Il vero obiettivo dovrebbe essere senza dubbio quello di raggiungere un accordo. Ricordiamoci che l’opposto di pace è guerra, e guerra significa morte. Maddalena Avella Cara signora Avella, lei solleva un’obiezione che non pochi, penso, condividono apertamente o, almeno, sottoscrivono in cuor loro ma non esprimono per timore di essere additati come “filorussi”. È un sentimento spontaneo e comprensibile, che ci accomuna come esseri umani: salvare vite, far cessare la violenza, riportare la convivenza fra le persone e i popoli. Ma se riflettiamo un po’, i primi due obiettivi possono certamente essere raggiunti con la fine dei combattimenti, quali che siano le condizioni. Il terzo, invece, richiede proprio una pace giusta. Spostiamoci alla tragedia che sta vivendo Gaza: se per ottenere lo stop ai bombardamenti, si dovesse accettare il trasferimento forzato della popolazione (si è parlato addirittura della Libia), potremmo ritenere quella “pace” l’obiettivo primario da raggiungere? In Ucraina, la “pace” di Putin significa il controllo totale del Paese, la russificazione e l’estensione del suo regime illiberale. Che pace sarebbe? Non si morirebbe sotto le bombe o nelle trincee, potrà obiettare, cara signora Avella. La verità è che non possiamo esserne così sicuri nel lungo periodo. Non sorgerebbero nel Paese occupato nuclei di resistenza clandestina armata? Non assisteremmo ad attentati e rappresaglie, anche sulla popolazione civile? Forse sarebbe il male minore, voglio immaginare la sua contro-obiezione, il bilancio delle vittime e delle devastazioni risulterebbe comunque inferiore. E l’esistenza per molti tornerebbe più normale. Vero, probabilmente. Ma possiamo darla vinta a chi usa la forza per imporre il proprio dominio, vìola il diritto internazionale e la sovranità di un’altra nazione? Ho visto di recente una rievocazione televisiva delle Cinque giornate di Milano. I cittadini, compresi i seminaristi, si sollevarono contro gli austriaci per la libertà e l’indipendenza. Morirono invano i circa 450 patrioti uccisi negli scontri che portarono al ritiro temporaneo dei soldati guidati dal generale Radetzky? Forse sì. O forse no. Non voglio distribuire sentenze, piuttosto stimolare una riflessione doverosa sulle tragedie del nostro tempo, quali sono i conflitti ai confini orientali dell’Europa e in Medio Oriente. Abbiamo bisogno di fermare le armi. Ma anche di una saggezza politica che guardi oltre il momento attuale. Si tratta qui, concordo con lei, cara signora Avella, di ciò che è mancato spesso in questi anni. Papa Francesco prima e Papa Leone adesso incarnano quello sforzo sincero di pace senza aggettivi, orientato tuttavia al bene di tutti che non è soltanto l’assenza di eventi bellici. Il primo saluto del nuovo Pontefice, quel “La pace sia con voi” sull’esempio di Gesù, indica proprio una dimensione di concordia spirituale, capace di allargare ben oltre i campi di battaglia. In definitiva, non possiamo che unirci all’impegno perché la guerra in ogni sua forma lasci il posto all’Amore, alla Giustizia e alla Libertà. Cercando le vie migliori e praticabili. © riproduzione riservata

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