«Folle costo del riarmo nucleare» Disarmiamo prima i nostri cuori
Caro Avvenire, il conto mondiale delle armi nucleari ha superato i 100 miliardi di euro. Il mantenimento degli arsenali è aumentato dell’11 per cento. La cifra che attualmente si spende per gli armamenti è sufficiente a sfamare tutti i 345 milioni di persone che affrontano i livelli più gravi di fame a livello globale. È la solita ipocrisia del potere. Con un minimo di buon senso si potrebbe aiutare tantissima gente. Gabriele Salini Caro Salini, il problema con gli arsenali nucleari non è (principalmente) il costo, ma la costante, esiziale minaccia per l’umanità che essi rappresentano. A livello mondiale, si stima siano stoccate circa 12.500 testate, da lanciare con missili, da aerei o sommergibili. Di esse, circa 9.600 sono in servizio attivo o costituiscono riserve militari, le restanti sono in fase di dismissione, ma non ancora smantellate. Circa 3.800 sono pronte al lancio in breve tempo (stato di allerta elevata). La maggior parte ha una potenza tra 100 e 800 chilotoni (basti dire che l’ordigno sganciato su Hiroshima aveva una forza di 15 chilotoni). Alcune testate (ad esempio, le B83 americane o le SS-18 russe) possono superare il megatone (1.000 chilotoni). L’effetto cumulativo di questo sconvolgente deposito di potenziale distruzione è in grado di provocare direttamente centinaia di milioni di morti in caso di scontro nucleare su vasta scala, con ampie zone del Pianeta rese inabitabili. La devastazione ambientale globale, a causa dell’“inverno nucleare” da polveri e fumo in atmosfera, unita al collasso agricolo planetario, con carestie e crisi sistemiche per anni, sarebbe un altro effetto per nulla secondario. Si calcola che, se scoppiasse un conflitto atom ico tra Stati Uniti e Russia (quello cui siamo stati abbastanza vicini durante la Guerra Fredda), si avrebbe la distruzione di centinaia di città in poche ore, con forse 100 milioni di vittime immediate. Difficile dimenticare lo struggente verso di Sting in Russians, la canzone scritta verso la fine degli anni segnati dalla sfida del terrore: «Spero che anche i russi amino i bambini». Scenari regionali tornati alla ribalta in queste settimane, a motivo del riacutizzarsi della tensione tra India e Pakistan, ci proiettano verso un duello regionale da scongiurare che potrebbe implicare l’impiego di oltre 100 testate con 50–125 milioni di vite bruciate e un decennale abbassamento delle temperature globali. Studi recenti suggeriscono comunque che anche un confronto nucleare limitato può alterare il clima e compromettere la produzione planetaria di derrate alimentari. C’è chi difende gli arsenali atomici con la Teoria della Mutua Distruzione Assicurata (MAD), che avrebbe impedito attacchi tra grandi nazioni dalla fine della Seconda guerra mondiale. Ma questo equilibrio della paura è intrinsecamente instabile: un errore di calcolo, un virus informatico, un malinteso diplomatico possono scatenare una risposta catastrofica. La deterrenza, poi, non funziona bene con attori non statali o con regimi imprevedibili, come la Corea del Nord. Pochi giorni fa, il presidente americano Trump ha affermato che l’attacco Usa contro i siti iraniani per l’arricchimento dell’uranio è stato come la Bomba su Hiroshima, che mise in ginocchio il Giappone (con quella su Nagasaki) e pose fine alla Seconda Guerra mondiale nel Pacifico. Bizzarra similitudine per un’offensiva che voleva giustificarsi proprio quale prevenzione di una Bomba di Teheran, ritenuta una minaccia mortale per Israele. Peraltro, come scritto di recente su queste colonne, molti storici considerano un crimine contro l’umanità i massacri di civili realizzati con il primo utilizzo di armi nucleari nella storia. Che cosa possiamo fare, caro Salini? Per lo psicoanalista Franco Fornari, la “situazione atomica” negli anni Sessanta del Novecento non era solo una questione di missili e chilotoni, ma il riflesso inquietante di qualcosa di molto più profondo: i “fantasmi” collettivi che abitano la psiche umana. Secondo Fornari, le paure più radicate, l’odio tra i popoli e quella cieca idealizzazione della propria nazione (spesso a discapito delle altre) non restano confinate nelle nostre menti. Si proiettano sulla scena, diventando lo stimolo alla corsa agli armamenti. Per disinnescare la Bomba, allora, dobbiamo prima di tutto confrontarci con le “bombe emotive” che portiamo dentro di noi, nelle nostre teste e nei nostri cuori. P.s. Con oggi, “Scriviamoci tutto” vi augura una buona estate e vi dà appuntamento a settembre. Per riprendere il dialogo libero e costruttivo tra “Avvenire” e le sue lettrici (che mi piacerebbero scrivessero di più) e i suoi lettori. © riproduzione riservata
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