«Aldo Moro, esempio sempre vivo» Ecco una via per i valori in politica

March 17, 2025
Caro Avvenire, provo sempre una grande emozione quando qualcuno, in tv o sui giornali, parla di Aldo Moro. Tanti italiani ricordano il suo stile di fare politica, il grande senso civico, l’educazione e il suo spessore di uomo libero. Commemorarlo è un dovere per questo Paese. Ed è con senso di sconfitta che continueremo a ricordare il suo assassinio e quello degli uomini della sua scorta. Una ferita sempre aperta. Massimo Aurioso Piombino (Li) Caro Aurioso, proprio la scorsa domenica è caduto il 47° anniversario del rapimento di Aldo Moro e dell’eccidio della sua scorta, il 16 marzo 1978. Non è troppo enfatico dire che fu uno degli eventi più drammatici della storia della Repubblica, di cui chi ha l’età per farlo conserva sicuramente ricordi indelebili. Il sequestro e l’uccisione dello statista democristiano stanno, a mio avviso, sullo stesso piano delle stragi di Capaci e via d’Amelio per il sentimento di debolezza dello Stato e di impotenza dei cittadini che quegli eventi provocarono, pur a molti anni di distanza gli uni dalle altre. Non tanto (o non solo) per l’incapacità di proteggere efficacemente le figure più illustri ed esposte alle minacce, ma per la sensazione che non vi fosse un argine alle forze che volevano minare alle fondamenta la convivenza civile e i meccanismi democratici. Non è andata così, per fortuna. Ma si tratta di una constatazione ex post. In più, per Moro, ci furono quei 55 giorni di agonia privata e pubblica, accompagnata da misteri e veleni che ancora oggi non si sono esauriti. Il presidente della Dc, durante la sua prigionia, ha scritto lettere e un memoriale che rimangono uno straordinario testamento politico e spirituale. Lo ha portato di recente in teatro, tra le molte opere dedicate al “caso”, Fabrizio Gifuni, con uno spettacolo di grande forza scenica e morale, intitolato, da una frase del testo, “Con il vostro irridente silenzio”. Le analisi e le interpretazioni di quelle pagine sono state le più diverse. Tuttavia, comunque le si legga, non smettono di offrire spunti di riflessione, quasi fossero ormai un “classico” della letteratura o della saggistica. Vi è in esse la verità di un uomo e di un esponente politico di estrema finezza e di notevole statura intellettuale, un servitore dello Stato e un cattolico di profonda fede. Non risulta perciò esagerata l’identificazione in Moro di una figura Christi, icona di sofferenza che ha attraversato la sua passione – anche se avrebbe preferito, come tutti, evitare l’amaro calice – cercando di trarne bene per gli altri. Le commemorazioni pubbliche che se ne fanno a distanza di tanto tempo sono spesso retoriche e non colgono né la ferita mai rimarginata di quella vicenda né lo spessore della vittima. Certo, ogni tempo ha i suoi leader, e sarebbe impresa anacronistica rimpiangere l’assenza di un Aldo Moro tale e quale oggi: la sua prosa e i suoi discorsi fiume – per citare un aspetto – nell’era dei talk show urlati e dei social media avrebbero avuto (purtroppo) ben misera fortuna. Mancano però incarnazioni contemporanee di quella umanità e di quella abilità politica che caratterizzarono il suo forte radicamento nel cattolicesimo (anche come matrice teorica, in quanto giurista accademico) e insieme l’apertura alle tendenze laiche e pluraliste della società italiana in evoluzione. Quella doppia sensibilità portò all’esperimento del centrosinistra e a un processo di modernizzazione ancorato, all’epoca, in un solido popolarismo orientato a libertà e uguaglianza. Questo per dire, caro Aurioso, che non possiamo non concordare con lei sulla necessità di tenere viva una memoria a tutto tondo dello statista originario di Maglie, un patrimonio ideale cui attingere in frangenti difficili e abitati da leader forse meno capaci di diffondere messaggi di valore duraturo e di ispirare quel senso di ammirazione che Aldo Moro continua a suscitare. © riproduzione riservata

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