“Squid game”, la serie coreana è al capolinea e senza guizzi

July 9, 2025
La serie tv coreana di grande successo, Squid game, è arrivata alla fine dopo appena tre stagioni. Verrebbe da dire dopo solo due, perché la terza, ora su Netflix, non sembra altro che l’altra metà della seconda, che senza nessun tipo di conclusione si preoccupava solo di mantenere gli alti ascolti della prima e traghettare i telespettatori verso l’ultima, che comunque potrebbe avere uno spin off, ovvero una derivazione. Mai dire mai. Intanto, evitando spoiler, diciamo che quest’ultima stagione, con sei episodi, riprende appunto da dove si era interrotta la seconda, con Gi-hun, alias giocatore numero 456, che tenta di porre fine al tremendo «Gioco del calamaro» (Squid game, appunto). Ricordiamo che la serie partiva dalla possibilità offerta a Gi-hum, sfaccendato e indebitato quarantenne, divorziato e padre di una figlia di dieci anni, di diventare ricco partecipando a una serie di giochi ispirati a quelli dell’infanzia, che ben presto, però, si erano rivelati una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Il tutto nel bel mezzo di un’isola deserta, sotto il controllo di inflessibili guardie armate. Gi-hum vince la competizione e una cifra esagerata, ma anziché partire per raggiungere la figlia negli Stati Uniti, decide di rientrare nel gioco per scoprire chi si nasconde dietro la maschera dell’enigmatico Front Man e di combattere dall’interno la terribile organizzazione che mette a repentaglio la vita di disperati indebitati con le banche e con gli strozzini. Quello che non cambia, anzi sembra aumentare in questa terza stagione, è la violenza gratuita, le scene crude e le situazioni drammatiche, con il sangue che schizza e scorre a fiumi. Ne è un esempio il tragico gioco del nascondino in cui i partecipanti, come sempre spersonalizzati in numeri e colori, devono uccidersi l’un con l’altro. Soldi e morte, dunque, con la bramosia del denaro che spinge a giocarsi la vita. Solo alcuni, oltre al protagonista, recuperano quel minimo di umanità di cui sono totalmente privi gli altri, che incarnano i peggiori istinti di una società capitalistica che promuove un sistema competitivo che fa del denaro la misura della libertà e della felicità e che acuisce le disuguaglianze. Si veda a questo proposito la presenza dei cosiddetti osservatori vip, sadici ricchi che godono scommettendo sui drammi altrui. Ma a parte qualche colpo di scena, c’è poco di nuovo in questa terza stagione, se non fosse per il finale (che come detto non riveliamo) e per qualche situazione che lascia uno spiraglio di speranza. Non a caso, più che sui giochi (che rimangono l’elemento di maggior tensione), quest’ultimo Squid game punta sui confronti, sulla storia e sulla psicologia dei concorrenti, a conferma che quando alla base c’è un’idea originale, sia pure discutibile, una volta passato l’effetto novità, la serie va reinventata, ma non sempre funziona.

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