Nel doc “Liliana” l’eroico coraggio di una libertà da proclamare

April 28, 2025
Un ritratto di Liliana Segre a tutto tondo, ovvero completo e dettagliato, senza sconti o edulcorazioni. Lo ha offerto Ruggero Gabbai con il documentario dal titolo essenziale Liliana, andato in onda sabato in prima serata su Rai 3 e ora recuperabile su RaiPlay. Di origine ebraica, ma di famiglia agnostica, rimasta orfana di madre nei primi mesi di vita, la Segre fu dapprima espulsa dalla scuola e poi arrestata con il padre nel 1943. Rinchiusa nel carcere di San Vittore nella sua città di Milano, fu all’inizio del 1944 deportata ad Auschwitz-Birkenau partendo dal famigerato binario 21 della Stazione centrale. Nel campo di sterminio trovarono la morte il padre e i nonni paterni, mentre lei riuscì a sopravvivere al freddo, alla fame e alle angherie dei nazisti. Tornata in Italia dopo non poche difficoltà, s’impose di non parlare del suo trauma. Un silenzio durato 45 anni. Interrotto dopo l’esperienza della maternità (la nascita dei figli Alberto, Luciano e Federica) e soprattutto dopo una profonda depressione. È così che decise di parlarne pubblicamente, in particolare nelle scuole, divenendo uno dei più importanti testimoni della Shoah, tanto che il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, l’avrebbe nominata nel 2018 senatrice a vita. Il documentario di Gabbai, oltre a quanto accennato, ha il pregio di affrontare un tema poco trattato, anche nel caso della Segre, quello del rapporto tra i sopravvissuti ai campi di sterminio e i loro figli. È infatti lei a spiegare che uno dei motivi del lungo silenzio era dovuto anche alla paura di non essere compresa, a partire proprio dai familiari, mentre i figli, a loro volta, raccontano di una madre che vedevano forte, ma anche fragile, affetta da un male oscuro che per molto tempo l’ha tenuta chiusa in casa. Altre testimonianze, compresa quella dei carabinieri della scorta a cui la Segre è sottoposta dopo le molte minacce, fanno emergere ulteriori aspetti meno conosciuti e più intimi della senatrice a vita. Interessante è che Gabbai, oltre a proporre il documentario senza voce fuori campo e quindi con la narrazione affidata alle sole parole dei diretti interessati, abbia recuperato un’intervista da lui realizzata come regista nel settembre 1995, forse la prima in cui la Segre, sessantacinquenne, racconta la sua storia. La parte attuale è poi girata tra il mare e la sinagoga di Pesaro, la città dove la Segre conobbe il futuro marito (Alfredo Belli Paci, scomparso nel 2007) e dove tra l’altro è tornata il 25 aprile scorso per partecipare alla Festa della liberazione divenendo per l’ennesima volta bersaglio dei social. In questo senso, proprio al termine del documentario, con tutta la famiglia riunita sul divano di casa, c’è la sua risposta agli odiatori seriali più o meno da tastiera: «Se qualcuno mi vuole ammazzare, lo faccia. Ma sappia che io sono libera: non scappo più». © riproduzione riservata

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