“La tv nel pozzo” senza fondo Con Alfredino cambiò l’Italia
«A oltre 40 anni di distanza sono convinto che qualche errore si poteva evitare». «L’errore fondamentale è stato quello di andare avanti con la diretta tutta la notte». «Abbiamo comunque imparato che c’erano e ci sono due modi diversi di fare televisione». «Però anche noi siamo stati travolti dall’evento, non siamo stati in grado di controllarlo e di gestirlo. Certo abbiamo imparato che la televisione è uno strumento potentissimo, pericoloso». «Ma ce l’ha o non ce l’ha una funzione formativa?». «La televisione può e deve avere una funzione formativa. Ce l’ha di fatto, anche nel male. Bisognerebbe però usarla per il bene». È il dialogo tra Piero Badaloni e Andrea Melodia al termine del documentario La tv nel pozzo, di Andrea Porporati, andato in onda il 13 giugno su Rai 2 e ora disponibile su RaiPlay. La vicenda è chiaramente quella di Vermicino, del pozzo artesiano nei pressi di Roma dove il 10 giugno 1981 cadde il piccolo Alfredo Rampi, diventato per tutti Alfredino. Rimasto intrappolato a 60 metri di profondità, morì proprio il 13 giugno dopo una lunga agonia e una serie incredibile di inutili e improvvisati tentativi di salvarlo. Per tre giorni l’Italia intera rimase incollata ai televisori di fronte a una diretta di 18 ore che segnò una svolta epocale nel modo di fare informazione favorendo la nascita della cosiddetta «tv del dolore». Ecco allora il senso di quel dialogo oggi tra il conduttore e il caporedattore del Tg1 dell’epoca. Dopo quella maratona televisiva con punte di 28 milioni di telespettatori davanti al video per vedere come va a finire, la tv non sarebbe più stata la stessa, avrebbe scoperto una forza dirompente e forse perso, una volta per tutte, il senso del limite. Quel buco maledetto, dove un bambino di 6 anni si era infilato chissà come, diventava l’ambiente del primo involontario reality di massa, dava origine a una danza macabra, a una tragedia consumata ai bordi di un pozzo trasformato in un circo, con una morte in diretta che avrebbe provocato una lacerazione mai rimarginata nella storia recente del nostro Paese e della televisione italiana. Il pregio del documentario è comunque quello di concentrarsi sull’aspetto mediatico della vicenda, evitando facili emozioni. Ma non solo: grazie allo psicoanalista Daniele Biondo e allo scrittore Giuseppe Genna, vengono fatti riferimenti evangelici per spiegare come nell’inconscio collettivo la scena simbolica del pozzo abbia potuto richiamare altre scene simboliche di tipo sacrificale come quella del Golgota, oppure il recupero di uno stremato Angelo Licheri, lo speleologo che per primo si calò nel pozzo, possa sembrare una «controdeposizione». Mentre la fondazione in nome di Alfredino e la Protezione civile nate all’indomani della tragedia, possono rappresentare gli elementi di resurrezione. Una lettura sicuramente azzardata questa di Porporati, ma di grande suggestione. © riproduzione riservata
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