Iannacone con “Che ci faccio qui” ci interroga

May 21, 2025
Ci vuole il coraggio di Domenico Iannacone per iniziare la nuova serie di Che ci faccio qui portando in prima serata (il martedì su Rai 3) persone con l’Alzheimer e altre forme di demenza degenerativa. Ma poi, a pensarci bene, non è tanto lui ad avere coraggio, quanto la televisione in genere ad avere paura di raccontare la vita, quella vera, preferendo quella virtuale o comunque fasulla che contamina palinsesti pieni di reality, di talent, di talk show beceri e di cronaca nera. Non c’è però da illudersi, con Iannacone non si tira un respiro di sollievo, tutt’altro: i suoi racconti lasciano senza fiato, emozionano, inquietano e a volte indignano. È successo anche l’altra sera di fronte alle storie di chi ha perso o sta perdendo la memoria, come gli ospiti del Centro diurno Ra.Gi di Catanzaro dove si sperimenta una cura basata sulle relazioni e sulla prossimità, o chi la sta ritrovando, come Pino, che da piccolo fu internato nel manicomio di Girifalco con l’assurda diagnosi di carenza affettiva. Oggi, al microfono di Che ci faccio qui, racconta di essere entrato a otto anni e di esserne uscito a quarantaquattro. Ma Iannacone affronta anche il dramma dei familiari, di chi improvvisamente o quasi si trova accanto un’altra persona da quella che ha conosciuto e con la quale ha vissuto fino a quel momento e che ora ha bisogno di tutto, anche se a volte non ti riconosce nemmeno. Ecco allora la commovente testimonianza di Ottavio, che ha perso la moglie per la stessa rarissima malattia neuro degenerativa, purtroppo ereditaria, che adesso affligge il figlio Antonio, trentaduenne, destinato a un progressivo decadimento fisico e mentale e con molta probabilità a una morte precoce. «Per me – dice Ottavio – il tempo non esiste più». Il tempo, invece, esiste per Daniela, ragazza down, che lo mette a disposizione facendo l’educatrice al Centro Ra.Gi e che racconta di farlo soltanto per amore. C’è dunque anche tanta positività in quello che l’autore e regista racconta senza pietismi e sensazionalismi, immergendosi totalmente nelle storie, entrando a contatto fisico con le persone, selezionando poi in fase di montaggio (firmato da Igor Francescato) le riprese che gli offrono le soluzioni più adatte per esprimersi con un linguaggio televisivo antitetico rispetto a quello a cui siamo abituati. Iannacone si affida a un ritmo lento, ai primissimi piani, ai particolari, agli sguardi, a un parlato sussurrato, all’originale sottofondo musicale di Marco Scorsolini o addirittura ai silenzi, che insieme a tutto il resto (incluse le immagini di repertorio quando necessarie) trasmettono riflessione e profondità. Fatto sta che dopo i titoli di coda di ogni puntata di Che ci faccio qui si continua a pensare, a interrogarsi. Da non perdere quindi (grazie anche a RaiPlay) le prossime tre tappe di questo viaggio nei misteri dell’esistenza umana, compresa la morte. © riproduzione riservata

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