Che bella scoperta “Il Caravaggio perduto”
Un docufilm più film che un documentario. Non è una contraddizione in termini, è il fatto che i protagonisti del docufilm Il Caravaggio perduto, in onda ieri in prima serata su Sky Arte (in streaming su Now e disponibile on demand), non si limitano a raccontare il caso attraverso testimonianze in forma d’intervista, ma reinterpretano se stessi nei momenti salienti di una vicenda che nel 2021 fece il giro del mondo e che ora il regista spagnolo Alvaro Longoria ripropone con sequenze da film vero e proprio. Si veda anche solo l’inizio con l’inquadratura in campo lungo di una donna che cammina di sera lungo un viale alberato e che a un certo punto riceve una misteriosa telefonata: «Fantastico! Dove l’avete trovato? A un’asta!». Stacco sulle mani di una donna, si presume la stessa di prima, che guarda sullo smartphone il particolare di un dipinto. Altra telefonata: «Sembra lui, devo vederlo». Più tardi scopriremo che quella donna è la storica dell’arte Cristina Terzaghi, mentre il quadro a cui si fa riferimento è un Ecce homo attribuito a un pittore della cerchia di Jusepe de Ribera, apparso in un catalogo d’asta a Madrid e messo in vendita con un valore di partenza di 1.500 euro. Ma nel momento in cui l’immagine viene diffusa, alcuni studiosi, tra cui la stessa Terzaghi, riconoscono nel dipinto la mano di Caravaggio. Si tratta di un caso di “sleeper”, ovvero di un quadro che sta dormendo, in attesa che qualcuno lo svegli. Più prosaicamente un quadro che viene attribuito erroneamente durante un’asta pubblica. In ogni caso è il sogno di ogni mercante d’arte. Ecco allora che saltano fuori in tanti, compreso Jorge Coll, che facendo squadra con i colleghi Filippo Benappi e Andrea Lullo, riesce a convincere la famiglia Pérez De Castro proprietaria del dipinto (nel frattempo ritirato dall’asta) ad affidarsi a loro per venderlo al meglio, anche se lo Stato spagnolo ne blocca l’esportazione dichiarandolo bene di interesse nazionale. Anche Coll e colleghi, come la Terzaghi, oltre alle testimonianze dirette, reinterpretano se stessi. Il che rende la storia ancora più accattivante saltando da Madrid a Roma, da Londra a Firenze, dietro a un quadro diventato famoso in Internet (in Italia a dare per primo la notizia è stato Dagospia), opera di un pittore che la vulgata massmediatica vuole ancora maledetto, figura popolare e affascinante, che già di per sé, come spiega il critico d’arte Nicola Spinosa, è un mito, una rockstar. Il regista ha seguito per tre anni il restauro, l’attribuzione e la vendita dell’Ecce homo, acquistato alla fine da un collezionista rimasto anonimo per una cifra non precisata con la sola clausola che potesse essere esposto anche pubblicamente, cosa che è avvenuta al Museo del Prado a Madrid e sta avvenendo attualmente a Roma nell’esposizione di Palazzo Barberini. © riproduzione riservata
© RIPRODUZIONE RISERVATA






