“Belcanto”, una storia di lotta per la libertà quasi telenovela
Una serie fortemente melodram-matica per raccontare il melodramma. Gli appassionati di opera sanno bene che le storie narrate nei testi della lirica sono a tinte forti, spesso efferate: omicidi, morti tragiche, intrighi, amori impossibili… Anche in Belcanto, il lunedì in prima serata su Rai 1, c’è tutto questo, con la differenza che all’opera, in teatro, contano soprattutto la musica e i cantanti. La messa in scena viene dopo. Non a caso a volte si accettano modernizzazioni azzardate dal punto di vista della regia, che vengono tollerate se gli esecutori sono bravi. In Belcanto il supporto della musica c’è, ma trattandosi di una fiction è per forza secondario. Per di più le attrici e gli attori non sono cantanti e quindi fingono di cantare e lo si vede. Protagoniste sono tre donne: Maria (Vittoria Puccini) e le sue due figlie, Antonia (Caterina Ferioli) e Carolina (Adriana Savarese). La serie, ambientata a metà Ottocento in epoca risorgimentale, racconta della loro fuga da Napoli per liberarsi del violento marito di Maria e inseguire il sogno del canto a Milano, cercando di entrare nell’ambiente dorato e spietato dell’opera, scontrandosi con inganni, tradimenti e passioni travolgenti. Sospese tra sogni di fama, gelosie e prevaricazioni, si troveranno a confrontarsi con la durezza del mondo che hanno scelto. In sintesi, diciamo che Belcanto è una storia di lotta per la libertà, che spinge le protagoniste a sfidare non solo il destino, ma anche loro stesse. Il problema è che la serie diretta da Carmine Elia sfiora la telenovela, i risvolti drammatici si inseguono e si sovrappongono senza tregua. Ci sarà pure un lieto fine, ma per ora a queste tre donne, in un contesto storico molto semplificato, non ne va bene una. Non ci resta pertanto che lo spunto per qualche riflessione su musica e tv, un binomio che esiste da sempre, anche se rendere la musica «da vedere» non è facile, al di là di quella leggera in quanto la televisione che nasce come radio più teatro trova nel potere di seduzione della musica l’elemento giusto per dar vita alla formula del varietà televisivo inteso come spettacolo musicale. Discorso diverso per l’opera lirica a cui la televisione dedica spazio da tempi remoti avendo avuto cura, però, in epoca recente, di superare il teatro filmato con spettacoli concepiti al tempo stesso per la scena e per la televisione, con una vera e propria regia televisiva che va a sovrapporsi a quella teatrale. Ciò significa che la tv aggiunge il suo linguaggio ai due che già segnano l’opera lirica: quello musicale e quello appunto teatrale. Senza per questo poter aggiungere, nonostante s’infiltri anche dietro le quinte, l’emozione del teatro, compresi i silenzi e il buio. Per cui a casa, pur vedendo quello che non vedono gli spettatori in sala, si provano emozioni minori, ma solo così la lirica può arrivare al grande pubblico. © riproduzione riservata
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