Vivere sotto terra
Un brivido corre lungo la schiena visitando le città sotterranee della Cappadocia in Turchia, dove le popolazioni cristiane si rifugiavano per ripararsi dagli attacchi portati dagli arabi a partire dall’Ottavo secolo. La più estesa e famosa di queste città, Derinkuyu, si estende su otto livelli e arriva fino a ottanta metri di profondità, e poteva ospitare ventimila persone. È un intricato dedalo di corridoi, cunicoli e grotte dove erano stati ricavati alloggi, cucine, locali per la preghiera, pozzi, stalle per gli animali, attrezzi per la spremitura dell’uva e delle olive. Un sistema di ventilazione permetteva di vivere chiusi lì dentro per mesi, garantendo la protezione e tutto ciò che poteva servire per le necessità quotidiane. All’occorrenza gli ambienti venivano sigillati con enormi massi di pietra rotanti per impedire l’ingresso, finché la minaccia era passata e l’esistenza poteva ripartire alla luce del sole. Quando la vita traballa, bisogna affidarsi all’essenziale e tante cose che paiono irrinunciabili possono venire sacrificate. Quanta fede doveva avere quella gente, quanto affidamento a Cristo come unico fondamento dell’umana speranza evocano quei luoghi. Ci sentiamo piccoli di fronte a gente così, come inchiodati da una domanda: cosa ti basta per vivere? © riproduzione riservata
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