Il penultimo
«Ho sempre creduto che noi detenuti siamo gli ultimi della fila, quelli che - come pensano in molti - dopo che li hai messi in cella devi buttare via la chiave. Venendo qui ho scoperto che siamo penultimi. C’è chi se la passa molto peggio di noi». Corrado porta sulle spalle una pesante condanna che sta espiando nella casa di reclusione di Opera, alle porte di Milano. Il magistrato di sorveglianza lo ha autorizzato, ai sensi dell’articolo 21 dell’Ordinamento penitenziario, a scontare la pena all’esterno del carcere lavorando presso la Fondazione San Francesco, un luogo dove le fragilità trovano uno spazio accogliente e dove lui si occupa del servizio docce. Ogni mattina si sveglia alle 5 nella stanza di Opera che condivide con altre persone detenute, fa colazione, prende due autobus e la metropolitana, un viaggio di un’ora e mezzo per raggiungere la Fondazione che è diventata il suo luogo di lavoro. «Arrivano qui alla spicciolata personaggi d’ogni genere: clochard, migranti, sbandati, persone con problemi psichiatrici. Portano in un sacchetto tutto ciò che possiedono, vestono indumenti rimediati, il fisico è segnato dalla sofferenza. Per loro poter fare una doccia significa rimettersi al mondo… Li guardo, mi commuovo e penso: sono loro gli ultimi, io sono tra i penultimi». © riproduzione riservata
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