Religiosi, l’occhio dell’Inps sugli eredi
Riscuotere indebitamente l’assegno mensile dell’Inps è un evidente illecito da sanzionare. In alcune situazioni si tratta di uno specifico reato identificato da sentenze diverse della magistratura, ma puntualmente accolte e applicate dall’Istituto di previdenza. Il comportamento dell’autore del reato è stato valutato a volte come “truffa aggravata”, oppure come “truffa aggravata per conseguire erogazioni pubbliche”, o anche “indebita percezione di erogazioni in danno dello Stato”. Reati diversi ma tutti perseguibili d’ufficio secondo il codice penale. Nel caso di decesso del titolare della pensione (Clero, Inps, ex Inpdap) o di una misura di assistenza (assegno di invalidità civile o di inabilità, assegno sociale, pensione sociale), le complicazioni della burocrazia possono riversarsi sul contitolare del conto corrente bancario o postale, come pure sulla persona delegata a operare sulla rata mensile di accredito. In questa materia è ora intervenuta la Corte di Cassazione (sentenza penale 10.935 del 19 marzo 2025) stabilendo che il contestatario del conto corrente (o il delegato) che riscuote rate disposte dall’Inps dopo il decesso del titolare, commette invece il reato di “appropriazione indebita”. Ciò in quanto l’obbligo di comunicare all’Istituto di previdenza il decesso avvenuto non compete ai parenti o ai contitolari dei conti correnti, ma all’ufficiale di stato civile. Fatto salvo però il reato di “truffa” quando viene rilasciata all’ente pagatore una falsa dichiarazione sull’esistenza in vita del titolare. Dalla nuova sentenza si ricava che l’appropriazione indebita non può essere perseguita d’ufficio ma solo a querela della parte offesa, quale è in questi casi l’Inps. L’ente previdenziale ha richiamato i suoi uffici (msg. 1.252 dell’11 aprile) a valutare attentamente i casi suscettibili di appropriazione indebita, e in particolare la eventuale presenza di dolo, come ad esempio nella riscossione reiterata nel tempo delle rate non dovute, che muta la natura del reato. Tanto più che, nell’appropriazione, la querela degli uffici all’Autorità giudiziaria deve avvenire entro tre mesi dal giorno della notizia del reato. Tutto questo non incide sulla normale attività dell’Istituto per recuperare quanto percepito indebitamente dai responsabili, anche nei confronti di istituti di credito coinvolti o previsto da apposite convenzioni. © riproduzione riservata
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