Wanna Marchi, storia della “teletruffa”
domenica 9 ottobre 2022
La televisione ha dato, la televisione ha tolto. Wanna Marchi e la figlia Stefania Nobile artefici (ma si può dire anche carnefici) e vittime al tempo stesso di quella tv che da complice le ha portate alle stelle e poi le ha fatte sprofondare. Grazie alle televendite e alle teletruffe sono diventate popolari e ricche, grazie a un programma tv (Striscia la notizia) sono finite sotto processo. Eppure, in un delirio d'onnipotenza avevano anche pensato di trasformare quel dibattimento in uno show televisivo a loro favore chiedendo fin da subito la presenza delle telecamere in aula. Non è andata come pensavano: lo show c'è stato, ma le finte lacrime della Marchi, secondo il cambio di strategia difensiva, non hanno commosso i giudici. Il tribunale le ha condannate a quasi dieci anni di carcere, ma la tv (ecco l'ulteriore contraddizione) non le ha condannate del tutto all'oblio. Qualcuno, appena uscite dal carcere nel 2015, le ha rimesse davanti alle telecamere e adesso Netflix le dedica un'intera docuserie in quattro puntate: Wanna, di Alessandro Garramone, scritta con Davide Bandiera, diretta da Nicola Prosatore, prodotta da Gabriele Immirzi per Fremantle Italia. Diciamo subito che quattro puntate di una cinquantina di minuti ciascuna sono troppe e alcune parti sono pure un po' noiose, ma la ricostruzione dei fatti, le testimonianze (ben ventidue) e persino l'attuale intransigenza e la spocchia di Marchi e figlia raccontano un'epoca, quella dell'avvento delle tv private, che non cambiò solo il mondo dell'etere, bensì l'Italia intera. Questo è l'aspetto, o più esattamente l'effetto positivo di Wanna: la spinta a riflettere sul ruolo della televisione, che ancora oggi, come successe a suo tempo con Marchi e figlia che vendevano la fortuna, può continuare a vendere l'inesistente.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: