Voto segreto, eccezione che garantisce la regola
domenica 7 novembre 2021
Dopo il voto sul ddl Zan e soprattutto in vista dell'elezione del presidente della Repubblica, il tema dello scrutinio segreto nelle deliberazioni parlamentari è tornato centrale nel dibattito politico-istituzionale. Le cronache documentano che solitamente questa modalità di votazione viene difesa oppure condannata (con relativa caccia ai “franchi tiratori”) a seconda del tornaconto degli schieramenti in campo. A livello di opinione pubblica, peraltro, i fautori dello scrutinio palese sembrano essere largamente maggioritari. Prevale su tutto il richiamo al dovere di trasparenza dei parlamentari nei confronti degli elettori.
È un argomento, questo della trasparenza, che nel tempo, purtroppo, ha assunto coloriture sempre più debitrici dell'antipolitica, ma che di per sé ha una sua innegabile nobiltà. Basti pensare che fu Aldo Moro, intervenendo alla Costituente contro la «consacrazione» del voto segreto nella Carta fondamentale, ad affermare che esso «da un lato tende a incoraggiare i deputati meno vigorosi nell'affermazione delle loro idee e dall'altro tende a sottrarre i deputati alla necessaria assunzione di responsabilità di fronte al corpo elettorale per quanto hanno sostenuto e deciso nell'esercizio del loro mandato». Eppure, sin dai tempi dello Statuto albertino, lo scrutinio segreto venne introdotto per proteggere da diktat “superiori” la libertà di scelta dei parlamentari. Questa è la sua ratio più genuina. Non a caso la legge istitutiva della Camera dei fasci e delle corporazioni, la n. 129 del 1939, stabilì senza troppi giri di parole che «le votazioni hanno luogo sempre con voto palese». Dopo il fascismo e la guerra, all'Assemblea costituente venne riadottato come regolamento quello in vigore alla Camera fino al 1922, caratterizzato dalla prevalenza del voto segreto. Saggiamente, però, i padri della Repubblica evitarono di cristallizzare il sistema di voto nella nuova Costituzione, lasciandolo all'autonoma determinazione dei due rami del Parlamento. I tempi cambiano ed è opportuno che le procedure possano essere aggiornate di conseguenza.
Il sistema attuale, con qualche differenza tra Camera e Senato, risale alla riforma dei regolamenti del 1988 e prevede come principio generale quello dello scrutinio palese, con rilevanti eccezioni nel caso di voto su persone o su provvedimenti che toccano princìpi di libertà sanciti dalla Costituzione, com'è accaduto nel caso del ddl Zan. È
un sistema ragionevole, che potrà anche essere ritoccato quando finalmente si affronterà la revisione dei regolamenti resa indispensabile dal taglio dei parlamentari, ma senza farsi prendere la mano da tentazioni qualunquiste.
Il voto segreto ben regolato resta un presidio di libertà e di piena democrazia, tanto più in presenza di partiti che allo stesso tempo si mostrano strutturalmente deboli e a gestione fortemente verticistica, con una vita democratica interna estemporanea e ridotta ai minimi termini, quando non del tutto assente. Il problema di un Parlamento frammentato ai limiti dell'atomizzazione e di un personale politico spesso non all'altezza è strettamente collegato a questa involuzione del sistema dei partiti e a regole elettorali che favoriscono la cooptazione dall'alto. In attesa di trovare un modo costituzionalmente corretto per consentire ai cittadini di scegliere il governo, si potrebbe intanto permettere agli elettori di scegliere davvero i parlamentari chiamati a rappresentarli.
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