giovedì 31 dicembre 2009
II domenica dopo Natale

(...) Venne fra i suoi, e i suoi non lo hanno accolto. A quanti però lo hanno accolto ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali, non da sangue né da volere di carne né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità. Giovanni gli dà testimonianza e proclama: «Era di lui che io dissi: Colui che viene dopo di me è avanti a me, perché era prima di me». Dalla sua pienezza noi tutti abbiamo ricevuto: grazia su grazia. Perché la Legge fu data per mezzo di Mosè, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato.

LLa liturgia propone lo stesso Vangelo del giorno di Natale, perché Natale si conquista lentamente. Lo stesso Vangelo, ma con una differenza: mentre a Natale l'attenzione, e l'emozione, erano rivolte alla discesa di Dio nella carne, nel tempo, nella notte, le letture oggi ci suggeriscono il movimento inverso. Si apre per noi come uno sfondo di eternità, uno sfondamento del tempo verso l'eterno. Ora è la carne che è assunta dalla Parola, il sangue sale verso il cielo, l'uomo verso Dio.
«E il Verbo si è fatto carne». Dio ricomincia da Betlemme. Colui che aveva plasmato Adamo con la polvere del suolo, diventa lui stesso argilla di piccolo vaso. Da allora c'è un frammento di Logos in ogni carne, qualcosa di Dio in ogni uomo. C'è santità, almeno incipiente, e luce in ogni vita. E nessuno potrà più dire: qui finisce la terra, qui comincia il cielo, perché ormai terra e cielo si sono abbracciati. Nessuno potrà dire: qui finisce l'uomo, qui comincia Dio, perché creatore e creatura si sono abbracciati e, almeno in quel neonato, uomo e Dio sono una cosa sola. Almeno a Betlemme.
«A quanti l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio». Cristo nasce perché io nasca. Nasca nuovo e diverso. La sua nascita vuole la mia nascita. Gesù non è venuto a portare un elenco di verità, ma vita da vivere; non ci ha comunicato una teoria religiosa, ma una forza di vita.
«Ha dato il potere», afferma Giovanni, non la semplice opportunità o l'occasione di diventare figli di Dio, ma il potere, la forza, l'energia, la vitalità per spalancare le porte, per varcare le soglie. Il Verbo come forza in noi.
In questa carne Cristo è, in questi dubbi, in questi abbandoni, in questa fatica di credere, in questa gioia di credere. È in noi per dirci: amo la tua solitudine, il tuo cercare, amo le tue lacrime, anche la tua debolezza. Non c'è nulla della tua vita che mi lasci indifferente. Tu mi interessi, con la storia del tuo cuore, con la storia della tua casa. Voglio essere in te come luce e come sole, come strada e come pane, come roccia e come nido.
«A quanti l'hanno accolto». Dio non si merita, si accoglie. L'uomo diventa ciò che accoglie in sé, ciò che lo abita. Vita vera è essere abitati da Dio. Ecco la profondità ultima del Natale: Dio nell'uomo. «Se appena percepiamo qualcosa del significato oceanico di queste due termini, Dio e uomo, intravediamo il dramma immenso del Natale» (Paolo VI).
(Letture: Siràcide 24, 1-4.12-16; Salmo 147; Efesini 1, 3-6.15-18; Giovanni 1, 1-18)
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