giovedì 3 giugno 2004
Tacere non soffoca le emozioni e l'aggressività, ma le trattiene, mette ordine dentro di esse. Parlando, le emozioni vengono fatte continuamente vorticare, nel silenzio esse possono posarsi. La stessa cosa avviene con il vino. Se lo si agita, si intorbidisce; ma se viene lasciato riposare tranquillo, il torbido si deposita sul vino e il vino ridiventa limpido. A tutti è accaduto di essere coinvolti in una discussione aspra: la tentazione non è mai quella di ritirarsi ma di procedere impavidi, senza esitazione, moltiplicando le parole, accendendo ulteriormente i toni, sfoderando altre armi di attacco. Solo dopo, comincia ad affiorare il pentimento dell'aver troppo parlato e ci si morsica le labbra invano. E' un po' questa la considerazione che fa il monaco benedettino Anselm Grün, noto autore spirituale nel suo volumetto Come trovare la gioia di vivere (Gribaudi), un'antologia di riflessioni per ogni giorno dell'anno. Suggestiva è l'immagine del vino che, solo se "posato", riesce a far decantare le impurità, lasciandole sul fondo. Anche nella cultura cinese si dice che «il silenzio è la capacità di rendere limpida l'acqua torbida». Ma un po' scetticamente la stessa sapienza cinese si domandava: «Chi è in grado di generare tutto il silenzio necessario per purificare ciò che è torbido?». Siamo abituati dalla politica allo scontro offensivo, all'accumulo di disprezzo verbale, all'incapacità di dialogo. Almeno nella nostra vita quotidiana impariamo la lezione del monaco: sappiamo fermarci prima e lasciamo decantare il torbido della nostra collera cieca.
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