Vendere tradimenti (o abbonamenti) e spendere il valore della fedeltà
domenica 30 agosto 2015
Tra le soft news che hanno tenuto viva l'informazione (digitale e non) lungo l'estate, una raccontava di Ashley Madison: l'«agenzia leader mondiale per incontri "discreti" tra persone sposate» (cioè adulteri) il cui database è stato oggetto di un attacco hacker. Sono dunque divenuti pubblici i nomi e i dati dei milioni di utenti registrati, cosicché ogni testata ha ritenuto di dover alimentare i nostri pettegolezzi riferendo della dimensione locale del fenomeno: a Latina c'erano tanti iscritti, a Cavarzere...Invece Luciano Moia qui su Avvenire (http://tinyurl.com/p8h8njd) e don Fabio Bartoli sul suo blog «La fontana del villaggio» (http://tinyurl.com/ozldteq) hanno rivolto alla vicenda uno sguardo di credenti. A partire dalla notizia di suicidi originati dalle rivelazioni, e fermo restando che i più feriti, nella vicenda, restano le mogli e i mariti dei fedifraghi, Bartoli sottolinea che sono vittime (di se stessi; del sito; degli hacker) anche i suddetti "utenti", mentre Moia si domanda se il valore sociale del matrimonio non andrebbe difeso anche proibendo questo genere di e-commerce.Entrambi centrano i loro ragionamenti sul valore della fedeltà coniugale. Così mi viene in mente che sta passando sulle televisioni e sul web uno spot che spende questo valore al fine di vendere abbonamenti del Milan: http://tinyurl.com/ntrmsc4. Vi sono ritratti dirigenti, atleti e qualche tifoso recitare solennemente la formula del rito del matrimonio cristiano: «Prometto di esserti fedele sempre. Di amarti e onorarti tutti i giorni della mia vita. Nella gioia e nel dolore». I manifesti poi sembrano delle lapidi, testo rosso su fondo nero, ovviamente. Dunque, tra squadra e tifosi c'è un patto nuziale, che è sacro.Che dire? Che nella comunicazione pubblica il linguaggio della fede persiste: questo è un buon segno. Ma che la metafora è debolissima: solo il coniuge-tifoso è veramente fedele, ma spessissimo si sente tradito. E che la campagna non ha il tono da commedia di «Casa Vianello» ma quello drammatico di un film di Bergman: e allora avrei preferito che non usasse parole sacre.
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