Una Netflix dei giornali e i problemi che porta
venerdì 15 marzo 2019

L'arrivo nel digitale di una Netflix dei giornali targata Apple – cioè di una piattaforma con centinaia di riviste e quotidiani al prezzo mensile di 9,99 dollari – è una notizia molto importante. L'idea di una Netflix dei giornali non è nuova. Ma è la prima volta che una tale proposta arriva da un colosso come Apple (il servizio dovrebbe chiamarsi Apple News Magazine). La flessione del mercato di iPhone e pc Mac ha infatti convinto l'azienda a virare sempre di più sulla vendita di canzoni, video e informazioni. Il suo nuovo obiettivo è di battere Netflix nei video, Spotify nella musica e di creare qualcosa di altrettanto remunerativo nell'informazione.

Ne saranno felici anzitutto i lettori, i quali potranno sfogliare decine e decine di testate saltando di genere in genere (anche se ci sono aspetti – come vedremo – problematici). Parimenti per gli editori e i giornalisti è una notizia importante. È vero che la piattaforma di Apple metterà in crisi la vendita degli abbonamenti digitali dei singoli giornali, ma – nelle promesse – «porterà i contenuti editoriali a un pubblico di 1,3 miliardi di potenziali lettori». Una platea enorme se si pensa che il New York Times (campione d'incassi tra i quotidiani occidentali) ha 3 milioni di abbonati alla sua edizione digitale.

Difficile dire al momento quali e quanti saranno i quotidiani anche italiani coinvolti nel progetto che sarà presentato il 25 marzo. Anche perché Apple vuole per sé il 50% dei guadagni e questo ha spaventato molti editori. Ma c'è un punto tutt'altro che marginale in questa operazione: che spazio avranno le riviste cattoliche (e di altre fedi)? E le riviste di qualità ma considerate di nicchia? Basta guardare le sezioni di Texture (la piattaforma sulla quale si basa il servizio Apple) per intuire già la "linea editoriale" dell'operazione. Ci sarà spazio per riviste di auto, affari, hobby, intrattenimento, moda, cibo, salute & benessere, casa e giardini, bambini, scienza e tecnologia, sport, viaggi, lifestyle, notizie & politica. Niente cultura o religione. Ciò che potrebbe sembrare solo un problema di classificazione è invece una questione molto seria, sia editoriale sia di marketing. E perfino politica e sociale. Perché sappiamo tutti che qualunque prodotto se non ha la giusta visibilità fatica a vendere o non vende affatto (proprio come accade nelle edicole "normali" se un giornale viene "nascosto"). E mettere nel calderone delle news una rivista di genere significa farla affogare nel mare di una concorrenza varia e confusa. E con lei la sua voce e le sue idee.


Direte voi, ma nel nuovo servizio di Apple (come accade in Netflix) ci saranno gli algoritmi che suggeriranno ai lettori "contenuti simili" da leggere. Giusto. Ma da quali fonti? Di quali testate? Di quale orientamento? E ancora: un'edicola con 200 e più testate a disposizione a prezzo "all you can read" è come un enorme luna park. Se non si hanno le idee chiare, ci si perde. Si finisce col leggere le riviste più famose o quelle meglio pubblicizzate dal sistema. E così anche i «suggerimenti» del sistema finiranno per portarci fuori strada. Non solo. Il tempo a disposizione delle persone è sempre meno e sempre più sollecitato da continue richieste di attenzione. E quello che dedichiamo alla lettura dei giornali è ogni giorno messo sotto attacco (ed eroso) da tutti gli altri contenuti digitali, compresi i video di YouTube, le serie di Netflix, i social e persino le mail e i messaggi WhatsApp. Col risultato che dopo i primi mesi di rodaggio "da entusiasti" la maggior parte dei lettori finirà col leggere solo poche testate: quelle più famose, quelle che "strillano" di più. Con un'aggravante: anche qui - pur se li sistema ci scaricherà in formato pdf sui cellulari le copie complete delle riviste e dei quotidiani che vogliamo - leggeremo sempre meno un giornale dall'inizio alla fine, ma solo suoi "pezzi", articoli, pagine. Ogni download e ogni lettura saranno tracciati dalla piattaforma e determineranno sia la conseguente visibilità della testata sia i suoi guadagni. È facile immaginare che, come già avviene in Spotify, ai grandi, ai famosi e a chi urla andranno la maggioranza degli incassi e a tutti gli altri rimarranno le briciole.

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