giovedì 7 maggio 2009
V Domenica di Pasqua
Anno B

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vite vera e il Padre mio è l'agricoltore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglia, e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già puri, a causa della parola che vi ho annunciato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così neanche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me, e io in lui, porta molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e secca; poi lo raccolgono, lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quello che volete e vi sarà fatto. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli».

Avevamo sempre pensato che Dio fosse il buon padrone del campo, il contadino operoso e fiducioso. Ma ora Gesù afferma qualcosa di assolutamente nuovo: «Io sono la vite, voi i tralci». In Cristo il vignaiolo si è fatto vite, il seminatore si è fatto seme, il vasaio argilla, il Creatore creatura.
Dio è in me, non come padrone ma come linfa vitale. Dio è in me, non come voce che impone ma come il segreto della vita. Dio è in me, come radice delle mie radici, perché io sia intriso di Dio.
Tra poco cominceranno a profumare i fiori della vite, i più piccoli tra i fiori. All'inizio della primavera, il vignaiolo attende che la linfa, salita misteriosamente lungo il tronco, si affacci alla ferita del tralcio potato, come una goccia, come una lacrima. All'apparire di quella lacrima sui tralci, mio padre diceva: è la vite che va in amore! Se la stessa linfa scorre in Cristo vite e in me tralcio, allora anche la mia vita porterà, attraverso vene d'amore, frutti buoni.
C'è una linfa che sale dalla radice del mondo, ad un misterioso segnale della terra e del sole, e in alto apre la corteccia che sembrava secca e morta e la incide di fiori e di foglie. E per un miracolo, che neppure arriva più a stupirci, trasforma il calore del sole in profumo e il buio della terra in colore.
Quella linfa, quella goccia d'amore, che tante volte ho visto tremare sulla punta del tralcio, è umile immagine di Dio, dice che un amore percorre il mondo, sale lungo i ceppi di tutte le vigne, di tutte le vite. E perfino le mie spine ha fatto rifiorire. Viene da prima di me e va oltre me. Viene da Dio, e dice a questo piccolo tralcio: «Ho bisogno di te per una vendemmia di sole e di miele». Ho bisogno di te, anche di un grappolo solo, perché senza i vostri tralci la vite è sterile.
Parole centrale oggi: «rimanete in me», noi siamo già in Dio, Dio è già in noi, siamo percorsi da Lui, non c'è da cercarlo lontano, è qui, è dentro, scorre nelle vene dell'essere.
E poi «portare frutto», il nome nuovo della morale evangelica non è sacrificio ma fecondità, non ubbidienza ma espansione, non rinuncia ma centuplo. Non di penitenze c'è bisogno, ma di frutti con dentro un buon sapore di vita, a dissetare l'arsura delle cose.
Nessun albero consuma i propri frutti, nessuna vite; essi sono portati, sono offerti per la gioia e l'alimento delle altre creature. Questa è la perfezione: maturare e dimenticarsi nel dono.
(Letture: Atti degli Apostoli 9,26-31; 1 Giovanni 3,18-24; Giovanni 15,1-8)
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