Un vaticanista, un cantautore e la testimonianza che Dio esiste
domenica 15 dicembre 2019
Sono tendenzialmente diffidente verso le storie che sui media, quelli tradizionali e ancor più quelli digitali, noi giornalisti raccontiamo a proposito della fede dei personaggi dello spettacolo, a maggior ragione se c'è di mezzo una conversione o riconversione, o se risultano più in primo piano le devozioni che il Vangelo e il Credo. Come dimenticare quando il calciatore Beppe Signori, intervistato a proposito del processo di canonizzazione di padre Pio, fraintese la parola "processo" e rispose (vado a memoria): «Cercano sempre di infangarlo... neppure stavolta ci riusciranno»? Ma se il narratore è Luigi Accattoli, la cui credibilità in materia di fede è massima, e il fedele è Roberto Vecchioni, cantautore che sta, da quando ero giovane, nel mio olimpo musicale, viene meno ogni remora. Così mi sono davvero goduto la cronaca che Accattoli, sul suo blog ( bit.ly/2PDU6Es ), ha fatto del concerto che Vecchioni ha tenuto l'11 dicembre a Roma, legata proprio dal filo delle professioni di fede, esplicite e implicite, che il cantautore ha inanellato. Quella che dà il titolo al post prende spunto dalle donne «onorate in canto» durante la serata, e suona così: «Non se la prendano gli atei, ma se ci sono donne così ci deve anche essere Dio. Dio ci dev'essere per testimoniare la bellezza, il dolore, il coraggio degli esseri umani». Poi due passaggi sulla «voglia di battere il destino», compresa una sorta di sconfessione di Samarcanda, forse la sua canzone più popolare, che Accattoli accoglie come «il dono di questo concerto». Poi ancora la dedica a papa Francesco della "Canzone del perdono", che sta nell'ultimo album (di questa dedica e della centralità del perdono nel cristianesimo Vecchioni ha reso ragione in due interviste, all'uscita dell'album, a Silvio Vitelli per Tg2000 bit.ly/36DTMN9 e ad Angela Calvini per "Avvenire" bit.ly/36B5Z5a ). Infine la prova regina dell'effetto che il Papa ha avuto «sull'uomo Vecchioni»: per Accattoli è contenuta nell'idea (cantata in "Parola") che «la parola sta all'uomo come il perdono a Dio».
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