Un "selfie" dell'Inps sul Fondo delle confessioni religiose
giovedì 24 novembre 2016
Le più recenti rilevazioni statistiche sul Fondo di previdenza dei ministri di culto, licenziate dall'Inps nei giorni scorsi e relative al quinquennio 2011-2015, presentano interessanti novità. Confermano anche l'incidenza di antiche problematiche, mai risolte dal legislatore, come il peso di interessi passivi oltre il tasso legale che sbilancia i periodici rendiconti annuali.
Il ricambio generazionale e un clima sociale che non favorisce il sorgere di vocazioni accentuano il calo dei ministri assicurati che scendono da 19.510 (anno 2011) a 17.997 (2015). Di riflesso non aumenta il numero dei pensionati, come sarebbe naturale ma, anzi, il loro numero si riduce: dai 14.271 del 2011 ai 13.499 del 2015. La caduta numerica dei titolari di pensione non è dovuta a una accentuata mortalità nella categoria, ma è l'effetto dell'indice della speranza di vita che l'Inps applica impropriamente anche al fondo del clero. Mentre in tutte le altre gestioni previdenziali l'aumento della speranza di vita di 7 mesi si applica a partire dall'età di 66 anni, nel Fondo in questione è applicato dall'Istituto all'età ben più alta di 68 anni richiesta al clero per la vecchiaia. Evidente quindi come un requisito di 68 anni e 7 mesi abbia fortemente rallentato il trend storico dei pensionamenti.
Induce invece ad altre riflessioni il complesso dei ministri, iscritti e pensionati, che dai 33.781 del 2011 si riduce ai 30.496 del 2015, con una “perdita” netta di 3.285 unità. In questo il Fondo patisce, in particolare, l'assenza totale di ministri delle confessioni religiose che negli ultimi anni hanno stipulato una propria intesa con lo Stato italiano, e nella quale sono precisati i relativi obblighi previdenziali. Sono interessati gli ortodossi in Italia, i buddisti (secondo le due confessioni di Unione Italiana e di Soka Gakkai) e gli induisti. Sono assenti anche i mormoni, benché rifiutino qualsiasi forma di assistenza statale. La mancanza di iscrizione dei nuovi ministri si traduce nella conseguente perdita di versamenti al Fondo.
Il complesso delle entrate è costituito unicamente dai versamenti degli iscritti, negli importi stabiliti da appositi decreti annuali. Ai ministri di culto è impedito tuttavia effettuare operazioni contributive che per tutti gli altri cittadini e lavoratori sono di routine, come i riscatti e le ricongiunzioni, peraltro a totale carico degli interessati, che contribuirebbero a un migliore equilibrio tra entrate e uscite. Un divieto che perdura da anni a causa di una stretta interpretazione dell'Inps delle leggi in materia, ma anche alla mancata realizzazione di una riforma contributiva richiesta dallo stesso ente previdenziale nell'anno 2000.
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